X. LA DIMOSTRANZA DELLA VITA E MARTIRIO DI SAN CIRO

Libro a puntate (testi di Nuccio Benanti)
III.2.2. La dimostranza
Questo scriveva, alla fine dell’Ottocento, Giuseppe Pitré a proposito della manifestazione di Marineo:
«Che cosa sia una Dimostranza può facilmente conoscere chi si dia la piccola fatica di scorrere una pagina sulla drammatica sacra in Sicilia. Dirò nondimeno che essa è una rappresentazione allegorica di un numero indeterminato, ma sempre grande, di personaggi, nella quale viene svolta la vita tutta, o qualche episodio di essa, d’un santo o di una santa. La Dimostranza di Marineo, nota anche nell’antica capitale dell’isola, è certamente uno dei migliori avanzi degli antichi spettacoli del genere» (1978b: 136).
Da allora è trascorso più di un secolo, e tutt’oggi a Marineo la festa di san Ciro è caratterizzata da una serie di manifestazioni che vedono il loro culmine, in genere ogni tre o quattro anni, proprio con la rappresentazione itinerante della vita e della passione del santo patrono.
La funzione originaria della dimostranza non si discosta tanto dal significato etimologico del termine stesso. Intendendo, infatti, “dimostranza” come atto del dimostrare (lat. De-monstrare), il suo scopo fu sin dall’inizio quello di far vedere, far conoscere alla massa dei fedeli la vita e le opere del martire alessandrino, vissuto in un luogo e in un’epoca lontani.
Le origini
Le origini della manifestazione di Marineo si presume che risalgano agli anni immediatamente successivi all’arrivo della reliquia a Marineo. Ma una data precisa non possiamo stabilirla.
Nella già citata cronaca del Corriere dell’Isola di fine Ottocento comunque leggiamo:
«L'epoca della prima rappresentazione io non posso precisarla, ma ritengo che sarà coeva alla venuta del santo, giacché una vecchia di casa mia, la quale conta quattro ventine e quattro anni (così mi dice lei), mi racconta che a' suoi tempi costumavasi rappresentarsi; e che sua madre le facesse menzione pure di altre dimostranze» (Sanfilippo 1894).
E’ interessante inoltre notare come, nonostante il trascorrere del tempo, tante cose siano rimaste immutate.
Oggi, come allora, lo spettacolo:
«[...] si svolge per le vie principali di Marineo, in mezzo a doppia ala di paesani e di forestieri. Il sole brucia senza pietà; ma attori e spettatori sono lì impassibili, gli uni compresi alla importanza della parte da rappresentare, gli altri desiderosi di non perdere mossa, non parola senza azione» (Pitrè 1978b: 137).
Abbattere le distanze sociali
La dimostranza è stata sempre lodata dagli organizzatori in quanto considerata una manifestazione che abbatte le distanze sociali, riuscendo a canalizzare l’attenzione di studenti, operai, professionisti, pensionati. Nel testo tramandato oralmente, «la figura allegorica della Gloria rivolgendosi ai cittadini di Marineo si esprime in questi termini: “Tu popolo di Marineo, senza distinzione di classe venite e adorate l’Altissimo che è il Signore”»[1]. Questo passaggio, mancante nell’ultima edizione, pare sia stato introdotto a fine Ottocento da un farmacista ateo[2].
Questo è il periodo in cui gli intellettuali siciliani abbracciavano l’ideologia sicilianista (Buttitta 1977-78). È anche un momento buio della storia di Marineo: diverse rivolte, tra cui quella dei Fasci Siciliani, vengono represse col sangue.
Verso la fine del secolo li jurnateri avevano rilevato ai civili il diritto alla organizzazione della dimostranza. Fu in seguito a quei mutamenti sociali, infatti, che alle recite cominciarono a partecipare anche i ceti più umili. Quale risposta, un gruppo di civili (si tramanda guidati dallo stesso farmacista), riuscì a ritagliarsi un proprio spazio attraverso l’introduzione della scena XV della cavalleria.
Ciò avvenne, evidentemente, anche per distinguersi dalla massa del popolo appiedata.
Ancora oggi, la recita nella scena della cavalleria, la più spettacolare della manifestazione, è ambita da molti attori. Nell’edizione del 2005, tra gli attori che vi hanno preso parte c’erano anche il sindaco del paese, due assessori e un consigliere comunale. Anche la regia è stata curata da un assessore comunale.
Ci sono delle parti, «ad esempio il san Ciro in carcere, la cavalleria o i giudici che lo condannano particolarmente ambite. Per l’assegnazione, il più delle volte si tiene conto delle persone che già hanno fatto quelle parti, per cui hanno un diritto»[3].
La parte meno ambita, oggi come ne passato, continua ad essere quella del Diavolo, che è l’unico attore lautamente pagato:
«Questo cerbero è pagato a sei tarì al giorno perché il suo lavoro è faticoso. Il Diavolo guadagna sei tarì al giorno; signori socialisti, aprite gli orecchi» (Sanfilippo 1894).
«Secondo l’antica tradizione il Diavolo, appartenente ad una delle famiglie meno fortunate, veniva pagato dall’Angelo, che lo ospitava anche a casa a mangiare. Ancora oggi è l’unica figura che viene pagata, almeno duecento euro, se no, nessuno vuole farla»[4].
Per quanto riguarda il testo, tramandato oralmente, una delle caratteristiche è la lenta ma continua trasformazione, che, a detta degli organizzatori, rende la sceneggiatura sempre viva e attuale.
Nel XVII secolo
Si presume che la dimostranza sia nata alla fine del XVII secolo come semplice processione allegorica con la funzione di narrare ai fedeli la vita del medico alessandrino. Fu solo nella seconda metà del Settecento che vennero introdotti i primi dialoghi. A favorire questa prima trasformazione dell’impianto basilare della rappresentazione contribuì sicuramente la pubblicazione della tragedia del cavaliere Filippo Orioles Il riscatto di Adamo nella morte di Gesù, avvenuta a Palermo nel 1750. Alcuni dei testi della Passione di Cristo vennero, infatti, utilizzati per rappresentare altrettanti momenti significativi della vita e passione di San Ciro. Nel testo troviamo anche preghiere ed inni tratti dal volume del sacerdote napoletano Salvatore Raia (1902: 131-138).
Francesco Sanfilippo riferisce che il primo ad ordinare i dialoghi fu il sacerdote Andrea Oliva.
Struttura, spazi recitativi e personaggi allegorici
La dimostranza è composta da ventuno quadri, ognuno indipendente, in quanto ad ambientazione scenografica ed interpreti, dagli altri. Il corteo procede infatti a tappe, fermandosi a recitare cinque volte in altrettante piazze. Tale organizzazione dei brani recitativi è resa indispensabile dal carattere itinerante della manifestazione e, in special modo, dal fatto che la medesima scena viene recitata più volte nelle piazze dove vengono allestite le stazioni per questo singolare evento.
Le ventuno scene aprono con il primo quadro di introduzione i cui personaggi, il Genio di Marineo e due araldi, spiegano sinteticamente al pubblico la storia del paese, la vita di san Ciro e il senso della dimostranza. Tale quadro introduttivo prevede la presenza di cavalli e di personaggi in abiti cinquecenteschi, quasi a richiamare il secolo di fondazione del paese.
Le prime quattro scene sono da preludio alla narrazione della vita del santo. Nel secondo quadro si racconta la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, nel rispetto della tradizione consolidata che dal peccato originale fanno dipartire le vicende dell'umana progenie. Il terzo e il quarto quadro introducono alcuni personaggi allegorici (la Religione, la Discordia, la Persecuzione) che, quasi come muse ispiratrici, rappresentano le tematiche della vicenda narrata.
Quindi, dal quinto quadro sino al diciannovesimo si assiste agli episodi salienti della vita di san Ciro: il battesimo, gli studi, la professione medica, l’eremitaggio, l’incontro con il discepolo Giovanni d’Edessa, la persecuzione dei cristiani, la visita nel carcere ad Atanasia e alle tre figliolette, la cattura, il processo, la condanna.
Infine, i quadri ventesimo e ventunesimo celebrano la gloria del santo, prevedendo anche la presenza del carro trionfale. Eseguita la decapitazione, il personaggio di San Ciro viene nuovamente interpretato da un bambino che porta trionfalmente il simbolo del martirio: la palma.
Le piazze
I luoghi preposti ad accogliere la recitazione delle varie scene, nel corso del tempo, sono cambiati in base al modificarsi della struttura urbanistica del paese o alle scelte degli organizzatori.
L'itinerario classico, che valorizza la tradizione e nel contempo risponde alle esigenze funzionali di organizzazione, è comunque rappresentato dal percorso della processione.
Sanfilippo, scrive che il corteo si formava nell'attuale via San Francesco e di conseguenza la prima rappresentazione veniva tenuta, come oggi, in piazza Castello, la più suggestiva, vista la cornice scenografica rappresentata dal maniero cinquecentesco.
Leggendo la cronaca del Corriere dell'Isola si può anche notare come gli attori si disponessero a recitare tutte le volte che vedevano un grande uditorio. Quindi non c’erano, come oggi, le piazze predisposte.
Oggi il corteo prende inizio da corso Vittorio Emanuele e, per raggiungere il castello, attraversa in processione il corso dei Mille. Seguendo l'itinerario delle ultime edizioni, a piazza Castello seguono altre quattro stazioni dove si recita: piazza Sant'Antonino, largo Palumbo, corso dei Mille e, infine, piazza Duomo. Le piazze vengono dotate di amplificazioni e di transenne che le delimitano.
Con esclusione delle scene introduttive e di quelle in cui sono presenti figure allegoriche, la collocazione storica della narrazione coincide col III secolo. La varietà dei costumi, in tal senso, non può che corrispondere con il vestiario tipico dell'epoca tardo-imperiale. Notiamo, di conseguenza, la presenza di luccicanti armature e coloratissime piume.
In prossimità delle rappresentazioni i costumi e le attrezzerie vengono noleggiati presso ditte specializzate e, in parte chiesti in comodato al Teatro Massimo di Palermo.
I personaggi
Molte scene della rappresentazione sono popolate da personaggi non reali, che simbolicamente vestono i panni della Religione o della Persecuzione, dell'Innocenza o della Vanità, della Speranza o della Disperazione[5].
L'utilizzo di tali figure non è prerogativa solo della dimostranza di san Ciro, ma è comune a molte manifestazioni del genere e si inquadra nella funzione didattica di tali rappresentazioni. Nel corso dei secoli l'esigenza di estrapolare certi stati d'animo dei personaggi di queste drammatizzazioni ha reso necessario la personificazione degli stessi con veri e propri attori. Nella finzione scenica, dunque, il pathos recitativo che normalmente dovrebbe essere proprio dell'interprete viene affidato a questi personaggi allegorici che con interventi, spesso in forma poetica, approfondiscono gli aspetti più coinvolgenti della recitazione.
Il carro trionfale
Nella ventunesima scena della dimostranza san Ciro torna ad essere rappresentato da un bambino, che sorride dolce dall’alto del suo carro trionfale. Tutto attorno, ci sono una schiera di angeli che agitano palme e una fiumana di fedeli che spinge e applaude al passaggio dei figuranti.
Ancora una volta il bene ha vinto contro il male, la religione cristiana contro il paganesimo, la vita contro la morte. E’ questo l’ultimo atto dello spettacolo.
Il carro ha delle dimensioni adatte per percorrere le viuzze del centro storico del paese. Ha la forma di una barca: larga metri 2,20 alla base e di metri 2,70 nella parte superiore; lunga metri 4,20. La struttura e poggia su un traino di legno, lu strascinu, con le tradizionali quattro ruote raggiate.
Motore della macchina trionfale è un robusto cavallo legato a due aste. La sicurezza della struttura è, infine, affidata a due freni gommati, applicati sulle ruote posteriori e manovrati con una fune.
Sulla barca vengono applicati dei pannelli di legno compensato con fiori e nastri colorati. L’intero carro è costituito da parti in ferro e parti in legno.
Il cavallo è bardato a festa e richiama i caratteristici finimenti del carretto siciliano.
L’addobbo viene realizzato dai confrati, con stoffa di raso, panno, fiori e palme. Non ci sono indicazioni particolari, se non quella di utilizzare anche i simboli del martirio: fiori rossi e palme[6].
I genere, «i fiori vengono pagati dalla confraternita, anche se può capitare che il fioraio o qualche altro devoto del santo chieda di approntare di tasca propria la spesa, che può aggirarsi attorno ai duecento euro».[7]
Il documento visivo più antico del carro trionfale è una stampa litografica del 1894. Le poche copie rimaste in circolazione sono custodite gelosamente da alcune famiglie di Marineo. Una copia, anch’essa originale, è conservata pure presso il Museo Pitré di Palermo. Per dimensioni e forma è molto simile a quelli realizzati a Palermo per la festa di santa Rosalia.
«Noi lo abbiamo ripreso da questa stampa del 1894, dove il carro era molto grande ed ospitava una banda musicale là sopra. Quello che abbiamo realizzato negli anni ottanta è di dimensioni molto più ridotte, anche per permettere di poter circolare per le strade, per il percorso che la dimostranza poi va a fare, che è un po’ quello della processione. Oggi il carro è presente nell’ultima scena: la chiusura della dimostranza. Nella parte alta del carro vi è un bambino che rappresenta san Ciro in gloria. Nella parte bassa, abbiamo invece degli angeli[8].
Negli anni trenta venne scattata una istantanea molto singolare, dove notiamo che il carro è in realtà un’automobile d’epoca scappottata. Giuseppe Scrò, spiega che «c’è stata, negli anni quaranta, una edizione in cui è stato utilizzato, come carro, un camion Fiat Leoncino»[9].
Dopo un’assenza di circa quaranta anni, nel 1982, la Pro loco ha ripristinato la tradizione del carro a forma di barca, trainato da un animale. Osservando la foto degli anni Ottanta, notiamo una enorme conchiglia al centro della barca che, in qualche modo, si rifà a quella presente nel carro dell’Ottocento. Anche i drappi, posti sui fianchi, sono posizionati in modo simile alla vecchia struttura.
Negli anni successivi la conchiglia verrà sostituita da un palo di legno, alla cui estremità sono legati dei nastri di stoffa colorati. In alcune edizioni, sui bordi della barca verranno collocati dei pannelli disegnati. Per quanto riguarda l’addobbo, in qualche edizione sono stati usati elementi vegetali alloro, rami d’ulivo, spighe e fiori freschi, in altre nastri colorati di stoffa e di carta.
Il carro trionfale viene addobbato in piazza Crocifisso, dove sorge l’omonima chiesa edificata nel 1556, sede della confraternita di san Ciro.
Il corteo con gli attori e il carro trionfale si sposta attraverso le vie del centro storico. Attraversa piazza Castello, passa davanti alla chiesa di Sant’Anna (edificata nel 1565), e giunge in piazza Sant’Antonino, dove sorge la chiesa dedicata al santo di Padova, costruita intorno al 1600.
Proseguendo attraverso la via Umberto primo, il corteo si dirige verso largo Palumbo, nel quartiere San Michele, dove troviamo anche una chiesa edificata nel 1631.
La quarta piazza si trova all’inizio del corso dei Mille, ai piedi del complesso monumentale del Calvario, dove c’è una lunga gradinata con in cima un oratorio dell’Ottocento.
Scendendo dalla parte alta del corso dei Mille, il carro attraversa piazza Inglima (zona commerciale), e infine arriva in piazza Sainte Sigolene. Qui troviamo la chiesa Madre, l’oratorio del SS. Sacramento, il collegio di Maria, la chiesa di San Vincenzo Ferreri e il Municipio.
(TESTO NUOVO)
Note di merito e non solo
Per quanto l'organizzazione della manifestazione occorre aggiungere alcune note di merito. La prima riguarda il ruolo attivo che Giuseppe Piraino ha avuto per anni nel dirigere ed interpretare la Dimostranza, avendo anche scritto un libretto con i testi (a sue spese) negli anni '50. La seconda riguarda il lavoro di monsignor Natale Raineri che, dopo aver pubblicato il libretto e musica sul martirio di san Ciro (a firma Cristaldo Mariano) con la regia di Vincenzo Scaletta, nel 1960 la Dimostranza la fece recitare interamente sul palco. Le modifiche vennero accolte positivamente accolto dalla critica, ma non dai marinesi, abituati com’erano alla rappresentazione itinerante con attori e spettatori a stretto contatto nelle vie e piazze del paese. La stessa edizione fu ripetuta nel 1961 con la regia del professore Rosario Daidone, ottenendo gli stessi risultati dell’anno precedente.
Per quanto riguarda le edizioni di padre Raineri, di tasca sua fece confezionare tutti i costumi per gli attori: pare che abbia venduto un terreno di sua proprietà per far fronte alle spese.
Tanti sono, infine, i marinesi che hanno dato il loro contributo alla riuscita della manifestazione. Tanti anche gli episodi e i contributi originali dati. Tra questi ricordiamo il ruolo del Diavolo che Giovanni Di Salvo interpretò magistralmente nell'edizione sul palco del 1960; in quell'occasone Toto’ Randazzo ebbe il ruolo dell’imperatore Diocleziano e fu l’autore della musica per trombe. Ciro Guastella recitò il ruolo di San Ciro, mentre il professore Ciro Benanti realizzò gli scenari per i 3 atti.

[1] Cfr. in Appendice, Intervista a Francesco Schimmenti.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. in Appendice, I testi della dimostranza del 2000.
[6] Cfr. in Appendice, Intervista a Giuseppe Scrò.
[7] Cfr. in Appendice, Intervista a Pino Taormina.
[8] Ibidem.
[9] Cfr. in Appendice, Intervista Giuseppe Scrò.