VI. LA RAPPRESENTAZIONE ICONOGRAFICA DI SAN CIRO: IL PARADISO, IL VESUVIO, LA ROCCA

Libro a puntate (testi di Nuccio Benanti)
II.1. Le immagini e la devozione
A Marineo la più antica riproduzione iconografica di san Ciro risale alla fine del Seicento (Trentacosti 1998: 83). Si tratta di una tela ad olio, di autore sconosciuto, custodita nella chiesa Madre. Questa è una delle immagini più usate nella stampa dei santini.
Martire in gloria
Il dipinto raffigura san Ciro in gloria, avvolto da una tunica azzurra e da un mantello rosso. Il santo si erge su una nuvola, ed è circondato da putti alati che sorreggono un vangelo, mentre con la mano sinistra tiene la palma del martirio.
Come abbiamo visto nell'Apocalisse di san Giovanni i santi «stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario» (Ap 7, 14-15).
In terra
Nell’immaginario popolare, il santo è invece rappresentato in maniera diversa:
«[...] il concetto di santità non conserva alcunché di metafisico o di ascetico. Il santo non sta nella gloria delle nuvole, non è “assenza” austera e contemplativa ma “presenza” viva, materica e concreta [...] Più prossimo alla terra e alle cose umane per il fatto stesso di essere stato mortale» (Cusumano 1988: 6).
In alcune stampe d’epoca, tuttora in circolazione anche grazie alle recenti ristampe a cura della confraternita, san Ciro è raffigurato con i piedi a terra, mentre tutt’intorno sono rappresentati vari elementi del paesaggio di Marineo, riconoscibile dalla presenza della Rocca che sovrasta le case. Il santo è inoltre rappresentato nel contesto di un evento miracoloso: vale a dire in mezzo ai malati, individuabili dalla presenza delle stampelle.
Anche qui notiamo la palma e il libro quali elementi simbolici di martirio e fede. Ma in questo caso, ci troviamo di fronte una figura più familiare, più confidenziale, più attenta alle richieste dei fedeli.
Il Vesuvio
Rispetto a questi elementi, altre stampe distribuite a partire dai primi del Novecento, presentano delle differenze sostanziali: al posto della Rocca di Marineo notiamo un vulcano fumante, mentre il santo non indossa tunica e mantello, ma un saio marrone.
Queste diversità sono riconducibili all’uso di “santini” di provenienza napoletana, dove san Ciro è particolarmente venerato nella chiesa del Gesù Nuovo. Oltre alla presenza dell’inconfondibile Vesuvio, notiamo come il santo sia rappresentato con un abito da monaco e in età molto più avanzata rispetto a quello di Marineo. Infine, gli elementi simbolici presenti sono, questa volta, la croce e un ramoscello d’ulivo.
Il saio da monaco eremita
Quella di Napoli è una rappresentazione iconografica che non si discosta molto dall’immagine che troviamo nel frontespizio della biografia del martire scritta dal gesuita Francesco Paternò (1707), dove il santo indossa, appunto, un saio da monaco ed è intento a pregare all’ombra di un ulivo secolare, poiché:
«Portatosi quindi egli in Arabia, subito cambiò veste, modo di vivere, e fattasi rasa la testa si vestì da monaco ed intraprese una vita sublime ed elevata» (Prevete 1961, p.43).
Medico bizantino
A Palermo e Monreale, inoltre, esistono delle chiese costruite nel periodo normanno in cui i mosaicisti bizantini hanno raffigurato nelle pareti san Ciro: la Cappella Palatina, la chiesa della Martorana e il duomo di Monreale. La presenza di san Ciro medico nel rito bizantino è da attribuire alla larga diffusione che ebbe il culto del santo alessandrino in Oriente. In queste tre chiese il santo è raffigurato con la cassetta delle medicine e il bisturi in mano, mentre indossa un abito civile del XII secolo. I vespri in onore dei santi Ciro e Giovanni, nell’Ufficiatura del rito bizantino, iniziano queste parole:
Atleti nobilissimi, / * medici inviati da Dio, / * illustri Ciro e Giovanni: / * come avete annientato l'atea alterigia dei tiranni, / * così troncate i tirannici sviamenti della mia mente, / * sanate le passioni della mia anima /* e liberatemi dalla futura condanna, / * supplicando il Redentore.
Medico, eremita, martire
Non essendo certa l’immagine dei primi martiri, questa è stata rielaborata risentendo molto degli influssi culturali in cui è inserita (De Padova 2003; Cusumano 1988).
San Ciro medico eremita martire, è stato rappresentato, quindi, in culture diverse in modo differente: medico nei mosaici bizantini; eremita nella rappresentazione dei gesuiti di Napoli; martire a Marineo, dove i fedeli iniziano il rosario dicendo: «Salve, o martire San Ciro [...]».
Inoltre, come abbiamo visto, vi è una differenza tra il livello istituzionale e quello popolare: diversità riscontrabile anche nelle tecniche, nei materiali usati o nelle orazioni stampate dietro la stessa immagine.
Possiamo, infine, dire che l’elemento caratterizzante del santino popolare è una forte componente narrativa, a differenza del santino colto dove l’immagine tende all’evidenziazione del contenuto concettuale. Per la Chiesa, infatti, le immagini hanno lo scopo di evocare il soggetto. E il metodo migliore è descriverlo nel modo più semplice e senza artifici che potrebbero sviare l’osservatore su questioni marginali.
Non solo la rappresentazione è differente, ma lo stesso rapporto con le immagini sacre assume connotati diversi.
La devozione popolare
La devozione popolare, spesso, si rivolge a certi santi o a certe immagini percorrendo vie del tutto indipendenti da quelle seguite dal culto ufficiale. Per il popolo le immaginette rappresentano il tramite tra il fedele e il santo. Alla santina vengono addirittura attribuiti poteri miracolosi: si pensi all'abitino di stoffa indossato dai malati.
L’immagine di san Ciro viene così portata in ospedale, baciata e poggiata sulla parte malata, perché può guarire da una infermità. La santina può anche rappresentare la presenza del santo nel luogo in cui è posta, in casa o al lavoro: si pensi alle donne che le sistemano nella culla dei bambini o all’abitudine degli artigiani di incollarle sul banco di lavoro. Sono tantissimi, inoltre, i devoti che le conservano nei portafogli. Anche nei cassetti delle case abbondano le immaginette sacre. Vi è anche la credenza popolare secondo la quale non è buono liberarsene, poiché il disfarsene significa annullare la protezione assicurata al devoto, se non addirittura chiamarsi contro sventure (De Padova 2003).
Le immagini soddisfano il bisogno di materializzazione del sacro, dando volto e corpo a personaggi e luoghi di cui si è sentito solo parlare, privatizzando un soggetto di culto collettivo.
Spesso accade che magia, superstizione e religione si confondano dando luogo ad una particolare dimensione religiosa, diversa nei diversi contesti culturali.
In campo popolare le immagini occupano, come gli stessi santi, una posizione di confine: questa volta tra il modello proposto dalla cultura ufficiale e quello in uso presso il popolo (Ibidem).