V - NEL 1665 MARINEO CAMBIA PATRONO: DA SAN GIORGIO A SAN CIRO

Libro a puntate (testi di Nuccio Benanti)
I.3. Introduzione del culto a Marineo
Nel 1665 Marineo era poco più che un borgo abitato da contadini e pastori. E’ probabile che l’arrivo della reliquia di san Ciro abbia rappresentato, per la piccola comunità, un grande evento, da festeggiare solennemente. Anche il marchese Girolamo Pilo, destinatario della donazione, con questa lodevole iniziativa, avrà innegabilmente tratto popolarità e consensi dalla popolazione. A dire il vero, il paese un suo patrono, san Giorgio, lo possedeva già, e completo di cavallo e di sulfureo drago. Quindi non deve essere stato facile trasferire ad un eremita egiziano, vissuto tredici secoli prima, il culto dedicato ad un eroe medievale, certamente più conosciuto e celebrato in grandi città e piccoli villaggi disseminati dall’Inghilterra alla lontana Russia.
Ad oggi, non è stato possibile ricostruire, né attraverso le fonti storiche né orali, i veri motivi che spinsero gli abitanti di Marineo a cambiare il patrono, a passare sotto la protezione di un nuovo santo. Sappiamo, però, che «una occasione qualunque, un infortunio, una pubblica calamità, bastarono per soppiantare con un nuovo un vecchio patrono; e i devoti con armi e bagaglio, passare sotto la protezione di esso» (Pitrè 1978b: XVI). Unico segno della devozione verso san Giorgio, che ancora oggi continua a rimanere, è l’intitolazione della chiesa madre ai “Santi Ciro e Giorgio”.
Prestigio politico e autorità spirituale
Le reliquie garantivano prestigio politico e autorità spirituale. Un sermone di Walter Suffield, vescovo di Norwich, fu in gran parte dedicato a dimostrare che l’Inghilterra era superiore alle altre nazioni per la collezione di reliquie che possedeva. Non solo una nazione, ma una regione, una città, un individuo acquisiva un nuovo status quando riusciva ad ottenere una reliquia preziosa, che valeva più dell’argento e dell’oro (Sumption 1981: 38).
La presenza dell’insigne reliquia e la notizia delle prime guarigioni operate dal “medico celeste” a Marineo furono certamente due degli elementi che ne decisero il rapido passaggio, in un’epoca piena di carestie e pestilenze come la seconda metà del Seicento. Ancora oggi i marinesi concludono il rosario del santo con una preghiera finale per scongiurare, appunto, «fami, pesti, guerri, tirrimoti, piccati mortali e divini flagelli» (Benanti 1999).
La donazione di Alessandro VII
Il culto di san Ciro a Marineo trae origine dalla donazione di una reliquia concessa da papa Alessandro VII il 20 aprile 1665 al marchese Girolamo Pilo. La concessione e l’autenticità della reliquia, secondo la testimonianza di due parroci di Marineo, Natale Raineri (parroco dal 1923 al 1970) e Francesco La Spina (parroco dal 1970 al 1999), autori di alcuni libri sulla parrocchia, sarebbe provata da una «pergamena romana» (Mariano 1961: 198; La Spina 1976: 15) custodita all’interno dell’altare del santo, in chiesa Madre. Di questo documento si parla anche in un verbale redatto il 31 maggio 1935 in occasione del restauro dell’urna di argento che custodisce il teschio. Nel verbale si legge: «[...] Rimosso facilmente il coperchio, ha estratto un teschio che, da documenti esibiti di cui si annette copia, confortate dalla tradizione locale, risulta essere quello che dal 1665 è venerato quale insigne reliquia di san Ciro Martire». Nell’archivio della confraternita è conservata una copia del documento, però manca la copia della pergamena.
Sull'autenticità delle reliquie
In realtà, quello dell’autenticità delle reliquie dei primi martiri cristiani rimane un argomento di difficile soluzione, tenuto conto del fatto che sono ormai trascorsi tantissimi secoli e, di fatto, non esistono documenti di prima mano. A complicare le cose sono intervenute altre cause. Il commercio di reliquie da parte di custodi senza scrupoli fu denunciato dal papa Gregorio Magno. Le reliquie sono state, fin dall’antichità, oggetto di contese, strumento di potere, prodotto di furti. Eginardo, amico e storico di Carlomagno aveva rubato i corpi di Marcellino e Pietro dalle catacombe di Roma. Uno dei più celebri furti fu la traslazione di san Nicola di Bari nel 1087. I mercanti di Bari, giunti a Mira per i loro commerci, con le spade sguainate lo sottrassero ai monaci increduli dicendo che «lo stesso san Nicola era apparso in sogno ad uno di loro e aveva chiesto di essere trasferito nella fiorente Bari per essere degnamente venerato». Questa è infatti la formula più frequente dei racconti: stato di abbandono della tomba, comparsa del santo in sogno agli uomini incaricati di compiere la traslazione, ripresa del culto e miracoli in favore della nuova comunità che ne venera degnamente le reliquie.
Altra causa di confusione riguarda invece i casi di omonimia, che possono portare ad attribuire le reliquie al più celebre tra omonimi. Come abbiamo visto, la Chiesa annovera ben sette santi di nome Ciro, di cui uno è popolare e sei sono pressoché sconosciuti alla moltitudine dei fedeli.
Il registro parrocchiale
In mancanza di documenti di prima mano, sull’introduzione del culto di san Ciro in paese è sicuramente interessante l’analisi della diffusione del nome Ciro, osservabile attraverso una lettura del registro parrocchiale. E’ un dato certo che dal 1556, anno di istituzione della parrocchia, fino al 1664 nessuna persona in paese si chiamasse Ciro o Cira. Nei documenti dell’archivio parrocchiale questo nome non compare mai. Per la prima volta, il 24 giugno 1665 due genitori, Antonino e Adriana Ficarra, portarono il loro bambino, nato il giorno prima, dal parroco Onofrio Rocco e lo fecero battezzare chiamandolo Ciro. Questo fu il primo bambino marinese a portare il nome del nuovo patrono. Alla fine del 1665 ben 24 nati portavano il nome del santo, mentre nell’arco di due anni il nome Ciro fu dato a più di cento persone, in una popolazione che al tempo contava circa 2300 anime. Un fatto eccezionale, se si considera il tradizionale attaccamento dei siciliani ai nomi familiari o a quelli stereotipati. Anche nei secoli successivi si continuerà di questo passo, cosicché oggi è questo il nome più caratteristico di Marineo.
Pitré e la rivalità tra san Ciro e san Giusto
La prima descrizione etnografica compiuta sulla festa patronale di san Ciro a Marineo è quella di Giuseppe Pitrè. E’ interessante osservare come l’origine mitica del culto sia collegata alla rivalità tra marinesi e misilmeresi, i cui giovani abitanti si prendevano a sassate al confine territoriale. Scrive Pitrè: «Ai tempi dei tempi si trovarono a passare per Marineo due uomini di santa vita: San Ciro e San Giusto; ed allettati dalla bellezza del sito pensarono di rimanervi per sempre, e vi rimasero d’amore e d’accordo. Se non che, un bel giorno, non volendo e non potendo più stare insieme, decisero di dividersi il territorio e di andare ciascuno per fatti suoi: San Ciro prese Marineo, San Giusto Misilmeri. Sembra però che la divisione non avvenisse pacificamente; perché, a conti fatti, San Giusto si accorse di avere un dito di meno, cadutogli per non so che brutto fattogli dal rivale nel momento della divisione. – Questa vendetta si tradusse in odii tra marinesi e misilmeresi, i quali, trattandosi di rivalità, non è motteggio né ingiuria che non si barattino, compresa quella amarissima dei marinesi al presunto nemico del loro patrono: Si Santu Giustu fussi giustu ’un cci mancassi lu jiditu (se San Giusto fosse giusto, non gli mancherebbe il dito), che i misilmeresi non possono mandar giù e ricambiano con motteggi sanguinosi» (Pitrè 1978b: 131).
A proposito della gelosia di due santi e due paesi, sul Corriere dell’Isola del 25-26 settembre 1894 apparve anche una nota sulla «temerarietà dei misilmeresi» che si spinsero fino a togliere le randole dal carro trionfale di san Ciro in modo da farlo abbattere nel momento che fa il suo viaggio trionfale.
Le prime opere d'arte a Marineo
Per quanto riguarda il successivo sviluppo del culto a Marineo, è testimoniato soprattutto dalla commissione di opere d’arte finanziate, a partire dal XVII secolo, sia da parte marchesi di Marineo che dal popolo. Fra le prime opere in cui compare la figura di san Ciro c’è una tela della seconda metà del XVII secolo custodita nella chiesa Madre che lo raffigura circondato da putti alati (Trentacosti 1998: 83). L’urna d’argento che custodisce la reliquia fu finanziata nel 1702 da un devoto, Giovanni Gozzo, per grazia ricevuta. La base del reliquiario venne invece commissionata, nella stessa epoca, dal marchese Ignazio Pilo (Ivi: 90). Mentre, sull’altare monumentale che custodisce il teschio si legge: «edificato nel 1737 essendo marchese di Marineo Ignazio VI col concorso del popolo». Ulteriori testimonianze della diffusione del culto sono anche il mosaico di maiolica collocato nella facciata esterna della Matrice nel 1720; la cappella del 1897; la villa del Collegio e il monumento di san Ciro donato dagli emigrati in America nel 1901.

IV - IL CULTO DELLE RELIQUIE DI SAN CIRO PRESSO LE PRIME COMUNITA' CRISTIANE

Libro a puntate (testi di Nuccio Benanti)
I.2. Le reliquie e le origini del culto
Come abbiamo visto, Ciro e Giovanni si portarono a Canopo per incoraggiare quattro donne a non venire meno alla loro fede. E non ebbero paura della morte, poiché «chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 25). Avendo perso la loro vita per il Signore, i martiri rappresentano per i cristiani un grande esempio da seguire, un modello da imitare per riscattarsi dalla morte terrena, dalla malattia, dal peccato. Il solo evocare il nome dei testimoni della fede richiama immediatamente alla mente l'idea del sofferenza, del sangue versato, del sacrificio. Valori che accomunano la loro esperienza a quella di Cristo.
«Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore porta molto frutto» (Gv 12, 24). E’ con queste parole che Gesù, alla vigilia della Passione, annuncia infatti la sua glorificazione attraverso la morte: «E’ Cristo il chicco di frumento che morendo ha dato frutti di vita immortale. E sulle orme del Re crocefisso si sono posti i suoi discepoli, diventati nel corso dei secoli schiere innumerevoli di ogni nazione, razza, popolo e lingua: apostoli e confessori della fede, vergini e martiri, audaci araldi del vangelo e silenziosi servitori del Regno» (Giovanni Paolo II 2000).
La vicinanza, il legame spirituale tra il sacrificio di Cristo sulla croce, il suo sacrificio eucaristico e il sacrificio dei santi martiri è messo bene in evidenza nell'Apocalisse di san Giovanni: «Vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa […]. Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide con il sangue dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro» (Ap 6, 9; 7, 14-15).
I martiri sono coloro che hanno un rapporto privilegiato con la divinità: per questo motivo possono operare da intermediari tra il contesto terreno e quello divino.
Non c'è dubbio, quindi, che Ciro di Alessandria rappresentò da subito, per la cultura cristiana del tempo, un valido esempio di santità. La sua vita mirabile, nonché la sua gloriosa morte consentirono, infatti, ai primi credenti di additarlo come testimone della fede ad imitazione di Gesù Cristo.
I corpi di Ciro e Giovanni
Per i cristiani dei primi secoli il culto dei santi non differì molto dalla pietà nei confronti dei defunti. Dopo il martirio, avvenuto il 31 gennaio del 303, alcuni uomini del luogo raccolsero i corpi di Ciro e di Giovanni di Edessa. Durante la più violenta delle persecuzioni, quella di Diocleziano, «le reliquie dei martiri erano premurosamente raccolte dai seguaci» (Sumption 1981). Successivamente Ciro e Giovanni vennero sepolti nella chiesa di San Marco, ad Alessandria. E in questo luogo le salme rimasero per un secolo. La venerazione delle reliquie esisteva, quindi, già a partire dal II secolo. Nel V secolo Vittricio vescovo di Rouen descrisse i santi come una legione impegnata nella battaglia contro il male (Sumption 1981).
Prima traslazione
Il 26 giugno del 414 i corpi furono traslati, per mano del patriarca Cirillo, a Menouthis, dove gli abitanti erano dediti a riti pagani. In ognuna delle tre tappe del trasporto dei resti, il prelato tenne una omelia, successivamente trascritte da Sofronio nei suoi Atti (Prevete 1961: 70). La notizia di alcune guarigioni avvenute nel tempio di Menouthis richiamarono a Canopo pellegrini provenienti da ogni parte. Ai tempi di Sofronio la fama di san Ciro doveva essere ancora viva se è vero che «da ogni regione del mondo si ricorreva al suo sepolcro per ottenere la guarigione» (ivi: 34). Lo stesso Patriarca dichiara di essere guarito da una malattia agli occhi a seguito di un sogno.
I teologi e la pietà popolare
Il culto delle reliquie fu criticato fin dagli inizi dai cristiani più rigorosi, considerandolo una forma di paganesimo. In risposta alle critiche, san Girolamo scrisse: «Noi onoriamo le reliquie in onore di colui che trova testimonianza nella loro fede. Noi adoriamo il Maestro attraverso i suoi servi» (Sumption 1981). Lo stesso sant’Agostino chiamò i martiri «templi della fede».
Ma la pietà popolare andava ben oltre il riconoscimento dei teologi, chiedendo al santo la guarigione. A Canopo, all’interno nella chiesa che custodiva i corpi dei due santi, la principale pratica devozionale era quella dell’incubatio, ossia di dormire distesi sul pavimento e attendere, durante il sonno, l’apparizione di san Ciro che indicava i rimedi e le guarigioni. Una comparazione col culto precristiano di Asclepio non è affatto fuori luogo (Bettini 1999: 183). Infatti, sia nei culti precristiani che in quelli dei primi cristiani all’idea del sonno era connessa l’apparizione miracolosa, che spesso aveva specificatamente funzione taumaturgica. Il sogno è considerato, tuttora, come un territorio al confine tra il cielo e la terra, in cui appaiono i santi per orientare o aiutare i vivi. San Tommaso d’Aquino riassunse le varie opinioni, pro e contro il culto delle reliquie, concludendo che andavano venerate per tre motivi. Primo, perché sono il ricordo vivo dei santi. Secondo, perché lo Spirito santo opera anche attraverso l’anima (che è in cielo) e il corpo (sulla terra) dei santi. Terzo, perché attraverso i miracoli avvenuti presso le loro tombe, Dio ha dimostrato il desiderio che vengano venerati: quindi sono intercessori presso il Padre (Sumption 1981).
Aboukir in Egitto
Oggi l’antica città di Canopo non esiste più. Però in quei paraggi, non molto lontano dal sito dove sorgeva il tempio di Menouthis, è nato un villaggio il cui nome è Aboukir (Faivre 1919: 55), ritenuto una deformazione del nome Aba Ciro, a testimonianza dell’antico culto. Non si conosce esattamente l'epoca della rovina del santuario che, probabilmente, è avvenuta dopo l'invasione araba.
A Roma nel medioevo
La fonte che descrive la traslazione delle reliquie a Roma è un codice latino scritto da Gualtiero intorno al 1200, giunto a noi attraverso una copia redatta nel 1600, custodita negli archivi vaticani e riportata dal gesuita Giuseppe Prevete nella sua Raccolta di Atti (Prevete 1961: 121). Secondo il racconto di Gualtiero, due monaci, Grimaldo e Arnolfo, ispirati da un sogno avrebbero prelevato le ossa dei martiri Ciro e Giovanni, salvandole dalla profanazione dei saraceni nella prima metà del VII secolo. Quindi le reliquie furono tumulate a Roma, prima nella chiesa di santa Passera, in via Portuense, e successivamente nella chiesa di sant’Angelo in Pescheria. Ancora oggi, epigrafi, opere d’arte e documenti testimoniano il passaggio dei due corpi nelle chiese romane, mete di pellegrinaggi nel Medioevo. A Roma, ad essere venerati durante tutto il medioevo non erano solo le reliquie corporali dei santi, ma anche gli oggetti che erano stati a contatto con le ossa e la stessa tomba. I pellegrini strofinavano fazzoletti o indumenti sulle lapidi, raccoglievano gocce di olio dalla lampada votiva o terra dal suolo e li consideravano preziose reliquie da custodire (Sumption 1981).

III - NACQUE E PARVE PREDESTINATO DALLA PROVVIDENZA

Libro a puntate (testi di Nuccio Benanti)
I.1.1. Cenni biografici
«Nacque san Ciro da pii e onorati parenti nella gran città di Alessandria, e fiorì verso la fine del terzo secolo della Chiesa [...] e parve predestinato dalla provvidenza». Inizia con queste parole il Ristretto e miracoli di san Ciro, edito a Napoli nell’ormai lontano 1707, a cura del gesuita Francesco Paternò. Questo volume è considerato la prima biografia scritta in Italia «con lo scopo di propagare la devozione del santo con la storia dei suoi prodigi» (Raia 1902: 7).
Lo schema di svolgimento del racconto è quello tipico della letteratura agiografica. Nella prima parte, il protagonista riceve un’educazione cristiana. Superati gli interessi mondani, Ciro comincia a curare i malati gratuitamente. Infine, dopo essersi ritirato a pregare nel deserto, il santo viene sottoposto a prove, ostacoli e sofferenze, che sfociano in una morte tanto esemplare quanto predestinata.
Il racconto, per ammissione dello stesso Paternò, venne compilato sia sulla base delle notizie tratte dagli scritti di Sofronio che dalle informazioni «dello stesso Bollando che con più pienezza de gli altri ne ha parlato» (Paternò 1704: 2).
San Ciro visse ad Alessandria d'Egitto nella seconda metà del III secolo. In particolare si interessò agli studi di medicina per i quali la città era famosa grazie all’opera di Galeno. Sofronio ricorda nei suoi scritti l’amore per la conoscenza che animava Ciro. Conoscenza non fine a se stessa, né, tanto meno, mezzo di arricchimento, bensì prezioso strumento per servire il prossimo. Difatti l’appellativo che gli venne attribuito fu proprio di medico anarghiro, senza argento, poiché gratuitamente prestava la sua opera ai bisognosi.
La sua medicina
Oltre a curare i mali fisici dei pazienti, il medico alessandrino si occupa dei mali dello spirito. Sostenendo che i mali fisici sono una diretta conseguenza dei mali spirituali, Ciro parla agli infermi di Cristo e della religione cristiana, insegnando che le infermità dell'anima non sono le più gravi, ma di più fanno male al corpo perché in questo generano le malattie più pericolose (Prevete 1961: 41).
Negli anni dell’eremitaggio, Ciro mutò radicalmente il sistema di medicare i suoi pazienti: non usò più farmaci o erbe, ma soltanto preghiere ed insegnamenti cristiani:
«Gesù non dava delle medicine, ma dava la medicina, che era la sua Parola. E grazie alla sua parola i malati guarivano. «Ora dico: alzati e cammina». «Che cosa vuoi che io ti faccia», dice al cieco di Gerico. «Signore che io veda». E Gesù risponde: «Si lo voglio». Si lo voglio... Quindi c'è sempre una richiesta da parte dell'orante e un esaudimento da parte di chi ha il potere di guarire, che avviene sempre per mezzo della Parola» (Damigella 1999).
Richiamato dalla fama delle guarigioni operate dal medico alessandrino un ex soldato romano, Giovanni di Edessa, decise di seguire quell’uomo generoso che predicava il cristianesimo. Ciro e Giovanni, maestro e discepolo, diedero prova del loro coraggio quando si recarono nel carcere di Canopo, a pochi chilometri da Alessandria, per confortare Atanasia e le sue tre figlie, Eudossia, Teodota e Teotiste, che erano state catturate dai soldati romani a causa della loro fede (Prevete 1961: 44).
31 gennaio 303
Qui, il 31 gennaio del 303, i due uomini subirono le stesse terribili torture riservate ai cristiani in quegli anni bui: vennero bastonati, bruciati con fiaccole e, per straziarli dal dolore, le loro carni piagate furono cosparse di aceto e sale.
La tradizione di Marineo tramanda, inoltre, che san Ciro sia stato immerso dentro una caldaia con pece bollente e che, essendo sopravvissuto a questo supplizio, sia stato decapitato. Quest’ultima circostanza giustificherebbe la presenza del solo teschio a Marineo.

II - SAN CIRO ALESSANDRINO


Libro a puntate (testi di Nuccio Benanti)
I. ORIGINI E DIFFUSIONE DEL CULTO
I.1. San Ciro
La Chiesa conosce almeno sette santi di nome Ciro, vissuti tutti nei primi secoli del cristianesimo, le cui gesta sono avvolte spesso nella leggenda (Bibliotheca Sanctorum 1963). Ad un san Ciro vescovo di Cartagine accenna il Martirologio romano che ne ricorda la festa il 16 luglio. Un altro santo patriarca di Costantinopoli viene menzionato il 7 gennaio dal Sinassario costantinopolitano, raccolta di letture agiografiche sui santi commemorati in ciascun giorno dell'anno. Un Ciro vescovo di Edessa è ricordato dal Martirologio di Rabhan Sliba il 20 settembre. Un santo anacoreta egiziano dallo stesso nome, morto nel 451, è presentato dal Sinassario alessandrino al 2 luglio. Il 18 aprile è festeggiato un omonimo martire ad Harran in Mesopotamia nel 770. Un san Ciro archimandrita di Qartamin è ricordato il 10 novembre (Quaranta 1988). Infine, accomunato a san Giovanni di Edessa, ad Atanasia e alle sue tre figlie, Eudossia, Teodota e Teotiste, c’è il nostro santo indicato nel Martirologio romano come «medico, eremita e martire di Alessandria».
San Ciro alessandrino
Che san Ciro alessandrino sia stato veramente medico lo afferma il suo primo biografo, Sofronio (550-635), patriarca di Gerusalemme, autore degli Atti dei santi martiri alessandrini Ciro e Giovanni, produzione agiografica del VII secolo. In questi documenti, il dottore della chiesa riferisce che Ciro ha esercitato l’arte medica, curando i suoi pazienti all’interno di un ambulatorio. Egli spiega che, dopo avere ottenuto la guarigione da una oftalmia nel monastero dedicato ai Santi Ciro e Giovanni, a Menouthis, presso Canopo (nella foto), dove si era recato in pellegrinaggio, decise di scrivere una serie di opere sui due santi martiri per pura riconoscenza. Oltre agli Atti del martirio, vennero infatti approntati anche una biografia, un encomio e il racconto di settanta miracoli avvenuti in Egitto e in Libia. Sofronio inserì, inoltre, nei suoi scritti tre omelie attribuite a san Cirillo alessandrino (376-444), vescovo vissuto un secolo dopo san Ciro, che si era occupato della prima traslazione delle spoglie mortali dei due santi, da Alessandria al santuario di Menouthis, nei pressi della città di Canopo (Faivre 1919: 31).
Grande fortuna ebbero gli scritti sofroniani, tanto da essere oggetto di rielaborazioni e adattamenti posteriori. Gli Atti originali, tradotti dal greco in latino da Anastasio bibliotecario, sono stati oggetto di studio da parte di Giuseppe Prevete, gesuita napoletano, autore del volume Raccolta di Atti, di scritti, e di memorie storiche intorno ai martiri alessandrini san Ciro medico e san Giovanni soldato, pubblicato per la prima volta nel 1919 e ristampato nel 1961. Lo scopo della ricerca del sacerdote era quello di «assicurare meglio colle prove la autenticità dei corpi di san Ciro e di san Giovanni nella chiesa del Gesù di Napoli» (Prevete 1961: 7).
In Italia, infatti, numerose parrocchie vantano di ospitare urne e teche contenenti reliquie attribuite a san Ciro alessandrino, il più famoso dei sette omonimi. Però non tutte le chiese sono in possesso dei documenti che ne certificano l’autenticità.
A Napoli, nella chiesa del Gesù Nuovo, oggi sono conservati gran parte dei resti del santo in un’urna marmorea posta sotto l’altare nella cappella del Crocifisso. Nonostante in molte altre città italiane (Grottaglie, Portici, Vico Equense, Torre del Greco, Atena Lucana, Sulmena, Cerignola, Castellalmare di Stabia, Sora, Frattamaggiore, Acquaviva delle Fonti, Cerreto, Bologna, Novara, Foggia, Avellino, Palermo) siano presenti tracce del culto, e in alcune di queste località anche reliquie, la devozione è particolarmente radicata solo in pochi luoghi, tra cui Marineo, che vanta il possesso del teschio del santo.

I - SAN CIRO. DALLE PIRAMIDI D'EGITTO AI GRATTACIELI DEL NUOVO MONDO


Libro a puntate
testi di Nuccio Benanti
***
A tutti gli emigrati,
di ieri e di oggi
morti come Eurialo e Niso
o uccisi nei sogni dei loro verdi anni,
o ai quali l’invidia del tempo
e degli uomini recise
il più bel fiore e ne fece beffa agli altri.
***
Introduzione
Nel 2009 la Società religiosa San Ciro di Garfield festeggerà cento anni di vita. L’adeguamento dello statuto del 1909 alle nuove esigenze dimostra come la comunità sia stata sensibile ai cambiamenti della società americana e ai nuovi stili di vita degli italoamericani. Le nuove disposizioni ora consentono anche ai “non marinesi” di inserirsi pienamente all’interno del gruppo, potendo ambire anch’essi a ricoprire le cariche sociali più importanti. Inoltre sarà consentito anche alle donne e ai giovani di partecipare attivamente alla vita dell’associazione.
I rapporti della comunità di Garfield con quella di Marineo sono oggi molto più intensi rispetto al passato, anche grazie alla facilità delle comunicazioni. Le nuove generazioni, pienamente inserite nella società statunitense, manifestano la loro volontà di riscoprire le proprie radici. Sono, infatti, sempre più numerosi gli oriundi italiani che visitano per la prima volta Marineo nella speranza di poter ricostruire la storia della loro famiglia o di trovare le tracce di qualche lontano parente. Negli Stati Uniti negli ultimi anni è infatti cresciuta l’attenzione per la memoria e per le tradizioni del paese e della terra di origine. Ancora oggi, gli emigrati di Marineo celebrano, tra persistenze e mutamenti, la festa patronale di san Ciro, scandita dai ritmi agricoli del paese di origine. Stesse date: una a gennaio e una in agosto. Stessi rosari, preghiere, processioni, ma anche novità legate ai nuovi stili di vita, come l’annuale Dinner dance e il riconoscimento all’Uomo dell’anno.
Con questa mia ricerca, che pubblicherò a puntate, voglio rendere un omaggio a tutti gli emigrati del mondo e, in particolare, ai marinesi che hanno saputo portare con fede il culto di san Ciro nel Nuovo Mondo.
Da Alessandria a Marineo
La prima parte della ricerca (Da Alessandria a Marineo) è dedicata alle origini e alla diffusione del culto di san Ciro, partendo dal suo primo biografo: il patriarca di Gerusalemme Sofronio (550-635), autore degli Atti dei santi martiri alessandrini Ciro e Giovanni, produzione del VII secolo. Per la letteratura agiografica, da uomo in terra e da santo in cielo Ciro d’Alessandria si è sempre dedicato alla cura dei malati. La seconda fonte che descrive la traslazione delle reliquie a Roma è, invece, un codice latino scritto da Gualtiero intorno al 1200, giunto a noi attraverso una copia redatta nel 1600, custodita negli archivi vaticani (Prevete 1961, 121). Due monaci, Grimaldo e Arnolfo, ispirati da un sogno avrebbero prelevato ad Alessandria le ossa dei martiri Ciro e Giovanni, salvandole dalla profanazione dei saraceni nella prima metà del VII secolo. Le reliquie sarebbero così giunte prima a Roma, poi a Napoli e, infine, a Marineo.
Da Marineo a New York
La seconda parte (Da Marineo a New York) è dedicata al fenomeno migratorio e all’introduzione del culto di san Ciro negli Stati Uniti ad opera dei pionieri marinesi, che sbarcano a New York a partire dalla fine dell’Ottocento. Formano una colonia a Elizabeth Street, nei pressi di Mulberry Street, nota Little Italy nell’isola di Manhattan. Nel 1909, a Manhattan, in una vetrina di un negozio che si affacciava su Elisabeth Street faceva la sua comparsa una statua d’argento di san Ciro. Negli orari di chiusura, in quei locali si incontravano i fondatori della Società religiosa per organizzare le prime feste comunitarie. Così, come nel vecchio mondo siciliano, anche nel nuovo mondo i marinesi continuarono a onorare il loro protettore. Il culto del santo patrono fu uno dei vincoli più forti sul piano emotivo, in grado di legare i primi immigrati di Marineo gli uni agli altri e al paese di origine. La religione e il sodalizio in nome del santo protettore costituivano, inoltre, l’unico punto di riferimento per la comunità e l’unico sostegno nei momenti di difficoltà per i singoli individui. Già a partire dai primi anni del Novecento, l’ultima domenica di gennaio si celebrava la cosiddetta “festa povera”. Mentre nel mese di agosto, di solito il secondo week-end, si svolgeva la “festa ricca”, che prevedeva tre giorni di manifestazioni, dal venerdì alla domenica. Le funzioni religiose si celebravano all’interno della chiesa “italiana” della Madonna di Loreto.
A cento anni di distanza, negli Stati Uniti le società di mutuo soccorso continuano ad essere un importante punto di riferimento per tantissime comunità di immigrati. Nella sola circoscrizione consolare di New York ne sono state censite più di cinquecento. Una di queste è la San Ciro Society, che fa capo alla comunità di Marineo, con sede al 54 Gaston Avenue di Garfield, nello Stato del New Jersey. Con il migliorare delle loro condizioni economiche piccoli gruppi si spostarono a Brooklyn e nel Queens, mentre in maggioranza trovarono opportunità di lavoro nel New Jersey. Una numerosa comunità si stabilì, infatti, a Garfield, ambiente ricco di boschi e aperte campagne. In tutti i luoghi in cui andarono i marinesi portarono il culto di san Ciro e le tradizioni del paese.
Da New York a Garfield
Nella terza parte vengono focalizzati, tra persistenze e mutamenti, i vari aspetti del culto di san Ciro negli Stati Uniti, nei luoghi dove è stato, appunto, trapiantato e dove è rifiorito con rinnovato vigore. Così, vedremo le attività della San Ciro Society (testimoniate da Ciro Guastella) e come il patrimonio culturale della festa patronale si identifica con la realtà economica e sociale da cui si è formato. Osserveremo, inoltre, come lo sviluppo, in senso materiale e culturale delle Little Italies, abbia modificato in parte le tradizioni e i rituali di questo appuntamento, pur continuando esse a mantenere, in alcune forme, il carattere originario. Occorre anche notare come l’emigrazione abbia condizionato la morfologia e l’antropologia della celebrazione sia nei paesi di partenza che nei luoghi di arrivo. Periodicamente, sia in Italia che negli Stati Uniti, avviene uno scambio di doni per rinnovare il patto di solidarietà e si programmano iniziative in comune. Nella festa confluiscono, infatti, i sentimenti di dolore e sensi di colpa per la disgregazione della società tradizionale. In tal senso, «la festa e i riti religiosi non costituiscono più una forma di esorcismo della morte, ma una forma di esorcismo dell’emigrazione, la nuova morte che ha colpito la comunità» (Teti 2002, 700).
L'umano cammino
L'umano cammino di Ciro tra le afflizioni terrene iniziò nel III secolo tra le affollate vie di Alessandria d’Egitto: in questa città cosmopolita fu prima figlio e studente modello, poi medico, eremita e martire. E sono ormai secoli che suoi devoti tramandano il ricordo di questo uomo straordinario nato agli albori del cristianesimo in terra africana. Accolto da santo, è stato per lungo tempo amato e venerato in terra italiana. Infine, è stato compagno di viaggio nelle rotte atlantiche, padre, fratello, amico sapiente e consolatore in terra americana. In poche parole, san Ciro è stato per i suoi devoti un patrono universale.