I.1.1. Cenni biografici
«Nacque san Ciro da pii e onorati parenti nella gran città di Alessandria, e fiorì verso la fine del terzo secolo della Chiesa [...] e parve predestinato dalla provvidenza». Inizia con queste parole il Ristretto e miracoli di san Ciro, edito a Napoli nell’ormai lontano 1707, a cura del gesuita Francesco Paternò. Questo volume è considerato la prima biografia scritta in Italia «con lo scopo di propagare la devozione del santo con la storia dei suoi prodigi» (Raia 1902: 7).
Lo schema di svolgimento del racconto è quello tipico della letteratura agiografica. Nella prima parte, il protagonista riceve un’educazione cristiana. Superati gli interessi mondani, Ciro comincia a curare i malati gratuitamente. Infine, dopo essersi ritirato a pregare nel deserto, il santo viene sottoposto a prove, ostacoli e sofferenze, che sfociano in una morte tanto esemplare quanto predestinata.
Il racconto, per ammissione dello stesso Paternò, venne compilato sia sulla base delle notizie tratte dagli scritti di Sofronio che dalle informazioni «dello stesso Bollando che con più pienezza de gli altri ne ha parlato» (Paternò 1704: 2).
San Ciro visse ad Alessandria d'Egitto nella seconda metà del III secolo. In particolare si interessò agli studi di medicina per i quali la città era famosa grazie all’opera di Galeno. Sofronio ricorda nei suoi scritti l’amore per la conoscenza che animava Ciro. Conoscenza non fine a se stessa, né, tanto meno, mezzo di arricchimento, bensì prezioso strumento per servire il prossimo. Difatti l’appellativo che gli venne attribuito fu proprio di medico anarghiro, senza argento, poiché gratuitamente prestava la sua opera ai bisognosi.
«Nacque san Ciro da pii e onorati parenti nella gran città di Alessandria, e fiorì verso la fine del terzo secolo della Chiesa [...] e parve predestinato dalla provvidenza». Inizia con queste parole il Ristretto e miracoli di san Ciro, edito a Napoli nell’ormai lontano 1707, a cura del gesuita Francesco Paternò. Questo volume è considerato la prima biografia scritta in Italia «con lo scopo di propagare la devozione del santo con la storia dei suoi prodigi» (Raia 1902: 7).
Lo schema di svolgimento del racconto è quello tipico della letteratura agiografica. Nella prima parte, il protagonista riceve un’educazione cristiana. Superati gli interessi mondani, Ciro comincia a curare i malati gratuitamente. Infine, dopo essersi ritirato a pregare nel deserto, il santo viene sottoposto a prove, ostacoli e sofferenze, che sfociano in una morte tanto esemplare quanto predestinata.
Il racconto, per ammissione dello stesso Paternò, venne compilato sia sulla base delle notizie tratte dagli scritti di Sofronio che dalle informazioni «dello stesso Bollando che con più pienezza de gli altri ne ha parlato» (Paternò 1704: 2).
San Ciro visse ad Alessandria d'Egitto nella seconda metà del III secolo. In particolare si interessò agli studi di medicina per i quali la città era famosa grazie all’opera di Galeno. Sofronio ricorda nei suoi scritti l’amore per la conoscenza che animava Ciro. Conoscenza non fine a se stessa, né, tanto meno, mezzo di arricchimento, bensì prezioso strumento per servire il prossimo. Difatti l’appellativo che gli venne attribuito fu proprio di medico anarghiro, senza argento, poiché gratuitamente prestava la sua opera ai bisognosi.
La sua medicina
Oltre a curare i mali fisici dei pazienti, il medico alessandrino si occupa dei mali dello spirito. Sostenendo che i mali fisici sono una diretta conseguenza dei mali spirituali, Ciro parla agli infermi di Cristo e della religione cristiana, insegnando che le infermità dell'anima non sono le più gravi, ma di più fanno male al corpo perché in questo generano le malattie più pericolose (Prevete 1961: 41).
Negli anni dell’eremitaggio, Ciro mutò radicalmente il sistema di medicare i suoi pazienti: non usò più farmaci o erbe, ma soltanto preghiere ed insegnamenti cristiani:
«Gesù non dava delle medicine, ma dava la medicina, che era la sua Parola. E grazie alla sua parola i malati guarivano. «Ora dico: alzati e cammina». «Che cosa vuoi che io ti faccia», dice al cieco di Gerico. «Signore che io veda». E Gesù risponde: «Si lo voglio». Si lo voglio... Quindi c'è sempre una richiesta da parte dell'orante e un esaudimento da parte di chi ha il potere di guarire, che avviene sempre per mezzo della Parola» (Damigella 1999).
Richiamato dalla fama delle guarigioni operate dal medico alessandrino un ex soldato romano, Giovanni di Edessa, decise di seguire quell’uomo generoso che predicava il cristianesimo. Ciro e Giovanni, maestro e discepolo, diedero prova del loro coraggio quando si recarono nel carcere di Canopo, a pochi chilometri da Alessandria, per confortare Atanasia e le sue tre figlie, Eudossia, Teodota e Teotiste, che erano state catturate dai soldati romani a causa della loro fede (Prevete 1961: 44).
Negli anni dell’eremitaggio, Ciro mutò radicalmente il sistema di medicare i suoi pazienti: non usò più farmaci o erbe, ma soltanto preghiere ed insegnamenti cristiani:
«Gesù non dava delle medicine, ma dava la medicina, che era la sua Parola. E grazie alla sua parola i malati guarivano. «Ora dico: alzati e cammina». «Che cosa vuoi che io ti faccia», dice al cieco di Gerico. «Signore che io veda». E Gesù risponde: «Si lo voglio». Si lo voglio... Quindi c'è sempre una richiesta da parte dell'orante e un esaudimento da parte di chi ha il potere di guarire, che avviene sempre per mezzo della Parola» (Damigella 1999).
Richiamato dalla fama delle guarigioni operate dal medico alessandrino un ex soldato romano, Giovanni di Edessa, decise di seguire quell’uomo generoso che predicava il cristianesimo. Ciro e Giovanni, maestro e discepolo, diedero prova del loro coraggio quando si recarono nel carcere di Canopo, a pochi chilometri da Alessandria, per confortare Atanasia e le sue tre figlie, Eudossia, Teodota e Teotiste, che erano state catturate dai soldati romani a causa della loro fede (Prevete 1961: 44).
31 gennaio 303
Qui, il 31 gennaio del 303, i due uomini subirono le stesse terribili torture riservate ai cristiani in quegli anni bui: vennero bastonati, bruciati con fiaccole e, per straziarli dal dolore, le loro carni piagate furono cosparse di aceto e sale.
La tradizione di Marineo tramanda, inoltre, che san Ciro sia stato immerso dentro una caldaia con pece bollente e che, essendo sopravvissuto a questo supplizio, sia stato decapitato. Quest’ultima circostanza giustificherebbe la presenza del solo teschio a Marineo.
Qui, il 31 gennaio del 303, i due uomini subirono le stesse terribili torture riservate ai cristiani in quegli anni bui: vennero bastonati, bruciati con fiaccole e, per straziarli dal dolore, le loro carni piagate furono cosparse di aceto e sale.
La tradizione di Marineo tramanda, inoltre, che san Ciro sia stato immerso dentro una caldaia con pece bollente e che, essendo sopravvissuto a questo supplizio, sia stato decapitato. Quest’ultima circostanza giustificherebbe la presenza del solo teschio a Marineo.