XII. LA CONFRATERNITA

Libro a puntate (testi di Nuccio Benanti)
IV.1. La confraternita di san Ciro
Secondo quanto stabilito dallo statuto, la «confraternita promuove il bene spirituale dei confrati con l’istruzione religiosa, le pratiche di pietà e l’esercizio delle virtù cristiane». Oltre alle normali attività cui tutti i gruppi cattolici sono chiamati in ambito parrocchiale, la confraternita di san Ciro promuove una serie di iniziative tendenti alla conservazione e alla divulgazione del culto del santo patrono: la custodia dei beni donati dai devoti, la stampa di immagini sacre e opuscoli informativi da distribuire ai fedeli, l’organizzazione di due feste: quella invernale e quella estiva.
Il decreto del 1936 e il rapporto con il clero
La confraternita fu istituita il 22gennaio 1936, con decreto del cardinale Luigi Lavitrano, arcivescovo di Palermo, con lo scopo di promuovere il culto del santo e, di conseguenza, di curare i festeggiamenti. Ma questa prima associazione religiosa, non avendo avuto «lo sviluppo desiderato» (La Spina 1979: 12) venne presto soppressa dal parroco Natale Raineri. «I rapporti conflittuali tra le confraternite e il clero sono motivate da una diversa concezione della prassi religiosa e cerimoniale» (Giallombardo 1990: 95). Monsignor Raineri decise, infatti, di sciogliere la confraternita quando «lo spettacolo stipendioso e piccante dei cantanti ebbe la parte rilevante» nella festa (La Spina 1976: 50). L’Arcidiocesi di Palermo, che rilascia il nullaosta per le feste religiose e che vigila sul corretto svolgimento, delega ai parroci la responsabilità dei festeggiamenti. La stessa direttiva prevede che una quota del denaro raccolto durante la festa venga riservata ad opere di carità, da concordarsi tra la parrocchia e l’assemblea dei confrati. Questo rappresenta spesso un altro campo di conflittualità.
Il ripristino del 1976
Nel 1976 la confraternita venne ripristinata, per volontà del nuovo parroco, padre Francesco La Spina, che a tal proposito scriveva: «Amo sperare che la lungimiranza dei giovani intelligenti contribuisca ad educare il popolo con iniziative socialmente più costruttive» (ibidem).Nell’archivio della confraternita si conserva ancora la lettera con cui sedici giovani, in gran parte impegnati nell’associazionismo cattolico, chiedevano di iscriversi, per rifondare l’associazione religiosa. Alcuni di loro, da lì a poco, sarebbero diventati nuovi amministratori del paese.Prima dell’istituzione della congregazione religiosa, l’organizzazione dei festeggiamenti veniva curata da un comitato, che poteva avere la durata di uno o più anni.
I Deputati del 1747
Un documento del 1747 sulla festa di quell’anno è firmato da trentasei persone: otto religiosi e ventotto laici, indicati come Deputati della solennità di Marineo. Secondo la testimonianza degli anziani del luogo, quando un comitato nuovo si accingeva a subentrare al vecchio, ovviamente con la benedizione del clero, occorreva seguire un rituale ben preciso: «i nuovi componenti dovevano andare in processione, nel mese di agosto, posizionandosi accanto alla vara del santo». Questo gesto veniva letto dalla popolazione come «il segnale che già dal prossimo mese di gennaio ci sarebbe stato il cambio di guardia nell’organizzazione della festa». Il nuovo comitato si impegnava, in questo modo, sia ad organizzare la festa di gennaio che quella di agosto, quest’ultima molto più dispendiosa dal punto di vista economico.
L'Associazione san Ciro
Dopo il ripristino della confraternita, nel 1976, a causa di ulteriori tensioni col nuovo parroco, «ci fu un breve periodo, tra il 1983 e il 1985, in cui la festa venne nuovamente organizzata da un comitato laico, raccolto sotto la denominazione di Associazione san Ciro» e identificato in paese come il “comitato dei giovani”, per distinguerlo dal precedente.All’inizio degli anni Ottanta, anche per i “giovani” l’organizzazione dei festeggiamenti coincise con l’ingresso in politica con la costituzione di una lista civica. Erano gli anni del proporzionale.
Gennaio 1986
Nel mese di gennaio del 1986 la festa venne restituita alla confraternita, che nel frattempo aveva registrato nuove adesioni.
La confraternita di san Ciro è costituita col concorso di rappresentanze sociali diversificate. Alcuni confrati, comunque, esercitano un ruolo di guida avendo un seguito di consensi all’interno del gruppo. Di conseguenza, molte decisioni relative alla organizzazione della festa possono essere prese anche a livello politico. Una prova di ciò è stata l’organizzazione dell’ultima edizione della Dimostranza: inizialmente bocciata dalla maggioranza dell’assemblea della confraternita, è stata invece deliberata e organizzata in sede municipale, finanziata con fondi del Comune.
Uomini e donne
Quella di san Ciro è una confraternita mista, e non esiste, almeno sulla carta, alcuna differenziazione tra uomini e donne. È una delle prime confraternite di Marineo che ha aperto alle donne. Le consorelle, comunque, sono più restie a partecipare alla questua di fine festa (=la raccolta), ritenuto un lavoro più da uomini. Anche nella fase organizzativa avviene una suddivisione tra i lavori più adatti agli uomini e quelli più indicati per le donne. I primi, in genere, svolgono le attività più pesanti, come il trasporto dei banchi in chiesa o il montaggio dell’impalcatura in ferro dove viene collocata l’urna del santo nel periodo festivo. Le donne sistemano i fiori e i drappi. Oltre ai lavori pesanti, anche gli incarichi di maggiore responsabilità, come quello di superiore, vice superiore e cassiere, finora sono stati sempre ricoperti da uomini. Il dato sociologico che ne emerge è quello che, di fatto, alle donne viene assegnato un diverso ruolo, di secondo piano rispetto a quello degli uomini.
Lo statuto
Lo statuto in vigore, pubblicato il 26 novembre 1972 e aggiornato, nel ventesimo della pubblicazione, con decreto del cardinale Salvatore Pappalardo, il 22 novembre 1992, è praticamente identico a quello di molte altre confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Secondo le nuove disposizioni del Centro diocesano, tutte le confraternite, anche le più antiche dotate di un proprio statuto, sono tenute ad osservare le norme contenute nella nuova carta costitutiva. Una copia dello statuto, stampata nel 1992, è custodita nella sede della confraternita. Si tratta di un libretto delle dimensioni di 10x15 cm. con copertina verde e composto da 24 articoli. Nei primi capitoli vengono illustrati gli organi della confraternita (assemblea, consiglio e gestori) e le cariche sociali (superiore, congiunti, tesoriere, segretario, maestro dei novizi e prefetto di sagrestia). «Il superiore e i due congiunti sono eletti dall’assemblea fra i confrati che siano professi da almeno tre anni; durano in carica due anni e possono essere rieletti soltanto per un secondo biennio». Le altre cariche vengono assegnate dal superiore. Possono essere iscritti alla Confraternita «coloro che hanno compiuto il quindicesimo anno di età, siano di buoni costumi, osservanti dei doveri religiosi e sufficientemente istruiti nella dottrina cristiana», mentre «non possono far parte delle confraternite i divorziati e i conviventi». I ragazzi di età inferiore ai quindici anni possono essere ammessi solo come aspiranti. Pertanto, i confrati si distinguono in professi, novizi e aspiranti.

XI. LA PROCESSIONE DI S.CIRO

Libro a puntate (testi di Nuccio Benanti)
III.3. La processione
L’ordine delle confraternite e dei fedeli nella processione di san Ciro è rigidamente strutturato. La posizione di ciascuno rispetto alla vara è indice di gerarchie sociali riconosciute. Un ordine della società naturale dato da dinamiche generazionali e dall’altro a quelle socio-economiche e politiche.
«I riti, in particolare la struttura delle processioni, pur apparentemente prefiggendosi lo scopo di testimoniare la devozione di tutti i ceti e le classi di età, di fatto confermano e ne giustificano la stratificazione. Mediante le confraternite o privilegi particolari, le varie categorie professionali tendono nelle processioni a esibire, attraverso l’ostentazione dell’impegno devozionale, la loro forza economica» (Buttitta 1996: 264).
Ordine
Apre la processione il tamburo che, col suo suono, avvisa del passaggio del corteo.
Poi viene lo stendardo di san Ciro, che va sempre accompagnato da tre confratelli, di cui due con il cero acceso. In genere, è il superiore ad indicare chi deve accompagnare il gonfalone. A seguire, sfilano gli iscritti alla congregazione, disposti su due file.
All’interno della confraternita esiste una forma di riguardo dei giovani verso gli anziani. Questi ultimi trovano posto più vicini alla vara.
I confrati indossano un abitino di velluto rosso. Si tratta di un doppio pettorale con un ricamo dorato: la palma. Il colore rosso e la palma sono ritenuti simboli del martirio del santo. Inoltre, portano attorno al collo un medaglione d’argento raffigurante san Ciro. Segno distintivo del superiore è il colore oro del medaglione e la presenza di una crocetta.
Dopo la confraternita si sistema il clero: il parroco, alcuni sacerdoti marinesi ritornati in paese per l’occasione festiva, i frati francescani del convento di Marineo e le suore del collegio di Maria, accompagnati da un gruppetto di chierichetti.
Il superiore e altri confrati anziani si sistemano alle spalle del clero, in prossimità della vara del santo, con il compito di sorvegliare, dirigere i movimenti della macchina e le soste. Accanto alla macchina sono posizionati anche due carabinieri.
Subito dopo vi è la vara. Si tratta di un’impalcatura lignea del ’700, decorata sui lati da alcuni dipinti che narrano la storia di san Ciro. Inizialmente era portata a spalla dai deputati, ma nel dopoguerra si decise di trasportarla su una macchina donata da un devoto. La struttura è sistemata in modo tale da fare vedere solo le ruote e la parte anteriore dell’automobile: una Fiat degli anni Quaranta.
La vara
L’automobile è guidata da un meccanico incaricato dalla confraternita. Guidare la macchina è un privilegio molto ambito, tanto che in passato si sono verificate contese tra autisti proprio per il diritto a condurre il mezzo. Un privilegio recente, che sostituisce quello più antico di appuzzari sutta la vara, vale a dire di portare a spalla il santo (Pitré 1978b).
Il meccanico segue le indicazioni del superiore della confraternita. La macchina deve sostare solo nelle chiese, nelle cappelle e in alcuni «luoghi deputati, che corrispondono ai quartieri principali del paese». Eccezionalmente, il superiore della confraternita può concedere la sosta davanti l’abitazione di un infermo. Anche se, in passato, è successo che l’autista abbia fatto di testa propria, concedendo o negando una sosta.
La reliquia è seguita dalle autorità. Quelle civili: il sindaco, gli assessori e una rappresentanza dei consiglieri comunali più vicini al partito del primo cittadino. E quelle militari: i comandanti della locale stazione dei carabinieri e dei vigili urbani. Tutti sono posizionati dietro il gonfalone comunale, scortato da due vigili.
Uno sparuto gruppo di... “fedelissimi” si frappongono tra il santo e le autorità cittadine, appoggiando la mano sulla vara in segno di richiesta di una grazia particolare. Si tratta di persone che, a causa di una particolare necessità, e quindi di una richiesta al santo, desiderano stare a contatto con la reliquia, nella convinzione che la vicinanza possa agevolare la grazia per se o per un familiare. E’ questa la spiegazione che loro danno. Il problema nasce quando, a grazia avvenuta, sopravvengono altre necessità o il devoto, a quel punto, ritiene di avere acquisito un privilegio, una dispensa che nessuno potrà più togliergli: vale a dire il diritto di stare appoggiato alla vara... a vita!
La loro presenza accanto al fercolo, in una processione così ben ordinata, è considerata dagli organizzatori un elemento di disturbo. Nel tempo, solo i più tenaci riescono a respingere i rimproveri incrociati di parroco e confrati, continuando ad appoggiarsi alla macchina. Poche persone, alla fine accettate dalla comunità dei fedeli con rassegnazione.
Le autorità cittadine vengono così a trovarsi in uno spazio, tra l’altro inquinato dal fumo non catalizzato della marmitta della vecchia Fiat, tra la banda musicale e i privilegiati.
Intanto, la musica del paese esegue tonanti marce, intervallate dalla recitazione, anche cantata, del rosario di san Ciro.
Per tradizione dietro la banda (ma in alcuni anni anche in apertura di processione), sono sistemati, in ordine, tutti gli stendardi, le relative confraternite con i loro segni distintivi, sistemate per importanza.
Le confraternite
Per ogni confraternita, aprono tre persone: uno al centro porta lo stendardo, accompagnato da altri due con il cero acceso. Seguono quindi i membri della confraternita che indossano l’abitino e il medaglione, che però non è mai indossato dai novizi. I confrati sono disposti in due file.
La prima confraternita, la più importante, disposta dopo la banda, è quella del Ss. Sacramento, detta «di li viddani», poiché in passato era composta dal ceto dei contadini (La Spina 1987) un tempo anche i più numerosi in un paese che viveva di agricoltura. Indossano un abitino di tela bianco e un medaglione.
Seguono, poi: quella dell’Addolorata, detta «di li civili» (i civili): in abitino di velluto nero e medaglione; l’Immacolata «di li cummintara» (del quartiere e della chiesa del convento) in abitino di velluto azzurro e medaglione; Gesù Maria e Giuseppe «di li artigiani» (gli artigiani) in abitino di raso azzurro e medaglione; il Redentore «di sant’Anna» (del quartiere e della chiesa di Sant’Anna) con il solo medaglione; San Michele «sammichilara» (del quartiere e della chiesa di San Michele) in abitino di raso giallo e medaglione; Sant’Antonino «di sant’Antuninu» (del quartiere e della chiesa di sant’Antonino); (ibdem) la Misericordia, con un abitino azzurro, quest’ultima di recente costituzione.
Giuseppe Pitrè segnala la presenza di tre sole confraternite: «san Michele Arcangelo, Ss. Sacramento e Anime sante» (1978b: 133), che precedono la vara.
A concludere, oggi, come un secolo fa, ci sono i fedeli, molti dei quali a piedi scalzi, sistemati in linea ai margini della strada. Tutti portano in mano un cero votivo rivolto verso la parte interna del percorso.
Il popolo, in genere, si aggrega per gruppi familiari o per conoscenti e si va sistemando, in fila indiana, per ordine di arrivo.
I tamburi aprono la processione.
Confraternita di San Ciro:
1. Tre confratelli: uno, al centro, porta lo stendardo della confraternita raffigurante san Ciro; ai lati, altri due con un cero acceso.
2. Seguono i confratelli disposti su due file.
3. Tutti (tranne i novizi) indossano un abitino a doppio pettorale di velluto rosso con una palma ricamata, colore oro. Inoltre, portano attorno al collo un medaglione d'argento raffigurante san Ciro.
4. Segno distintivo del superiore è il colore oro del medaglione e la presenza di una piccola croce in ferro.
«Questa processione richiama numerosi fedeli, a tal punto che non tutti riescono a percorrere contemporaneamente il tragitto, che è di circa due chilometri». Così, quando i primi sono di ritorno in chiesa, altri stanno ancora per iniziare il tragitto. Questo avviene soprattutto nel mese di agosto, quando fanno ritorno in paese gli emigrati e le belle serate consentono anche ai più anziani di partecipare numerosi.
Concluso il percorso, la reliquia, prima di essere riportata dentro, sosta circa due ore nella piazza antistante la chiesa Madre, ad attendere il ritorno di tutti i fedeli.
In passato, per il rientro della processione, veniva allestita una piccola impalcatura sulla quale venivano accese le girandole dei fuochi artificiali (cfr. La Spina 1976: 71). Ora si fa ricorso allo spettacolo pirotecnico con le scatole cinesi.
A gennaio, in tarda serata, dopo la benedizione del parroco, si concludono i festeggiamenti. In agosto, invece, la processione si svolge la domenica, mentre il giorno conclusivo della festa è il lunedì.
L’ultimo rito da espletare rimane quello della sistemazione dell’urna all’interno della cappella del santo. Questo lavoro viene svolto, a festa conclusa, dai confrati, in presenza di qualche devoto che assiste da spettatore.
La questua
Già dall’indomani della festa, i confrati sono chiamati a svolgere l’ultimo lavoro, il più faticoso della festa: fare la questua in paese.
La questua viene effettuata nei tre giorni successivi alla festa. I confrati percorrono tutte le strade del paese e, bussando nelle abitazioni, pronunciano la frase: «Santu Ciru!».
Oggi i fedeli danno soltanto offerte in denaro. Mentre in passato i confrati giravano coi muli (Mariano 1961), e successivamente con un’automobile, per trasportare il frumento consegnato dalle famiglie.
In cambio delle offerte vengono distribuite immaginette sacre e stampe di diversi tipi e dimensioni: piccole, cartoline e grandi da incorniciare.