I.3. Introduzione del culto a Marineo
Nel 1665 Marineo era poco più che un borgo abitato da contadini e pastori. E’ probabile che l’arrivo della reliquia di san Ciro abbia rappresentato, per la piccola comunità, un grande evento, da festeggiare solennemente. Anche il marchese Girolamo Pilo, destinatario della donazione, con questa lodevole iniziativa, avrà innegabilmente tratto popolarità e consensi dalla popolazione. A dire il vero, il paese un suo patrono, san Giorgio, lo possedeva già, e completo di cavallo e di sulfureo drago. Quindi non deve essere stato facile trasferire ad un eremita egiziano, vissuto tredici secoli prima, il culto dedicato ad un eroe medievale, certamente più conosciuto e celebrato in grandi città e piccoli villaggi disseminati dall’Inghilterra alla lontana Russia.
Ad oggi, non è stato possibile ricostruire, né attraverso le fonti storiche né orali, i veri motivi che spinsero gli abitanti di Marineo a cambiare il patrono, a passare sotto la protezione di un nuovo santo. Sappiamo, però, che «una occasione qualunque, un infortunio, una pubblica calamità, bastarono per soppiantare con un nuovo un vecchio patrono; e i devoti con armi e bagaglio, passare sotto la protezione di esso» (Pitrè 1978b: XVI). Unico segno della devozione verso san Giorgio, che ancora oggi continua a rimanere, è l’intitolazione della chiesa madre ai “Santi Ciro e Giorgio”.
Nel 1665 Marineo era poco più che un borgo abitato da contadini e pastori. E’ probabile che l’arrivo della reliquia di san Ciro abbia rappresentato, per la piccola comunità, un grande evento, da festeggiare solennemente. Anche il marchese Girolamo Pilo, destinatario della donazione, con questa lodevole iniziativa, avrà innegabilmente tratto popolarità e consensi dalla popolazione. A dire il vero, il paese un suo patrono, san Giorgio, lo possedeva già, e completo di cavallo e di sulfureo drago. Quindi non deve essere stato facile trasferire ad un eremita egiziano, vissuto tredici secoli prima, il culto dedicato ad un eroe medievale, certamente più conosciuto e celebrato in grandi città e piccoli villaggi disseminati dall’Inghilterra alla lontana Russia.
Ad oggi, non è stato possibile ricostruire, né attraverso le fonti storiche né orali, i veri motivi che spinsero gli abitanti di Marineo a cambiare il patrono, a passare sotto la protezione di un nuovo santo. Sappiamo, però, che «una occasione qualunque, un infortunio, una pubblica calamità, bastarono per soppiantare con un nuovo un vecchio patrono; e i devoti con armi e bagaglio, passare sotto la protezione di esso» (Pitrè 1978b: XVI). Unico segno della devozione verso san Giorgio, che ancora oggi continua a rimanere, è l’intitolazione della chiesa madre ai “Santi Ciro e Giorgio”.
Prestigio politico e autorità spirituale
Le reliquie garantivano prestigio politico e autorità spirituale. Un sermone di Walter Suffield, vescovo di Norwich, fu in gran parte dedicato a dimostrare che l’Inghilterra era superiore alle altre nazioni per la collezione di reliquie che possedeva. Non solo una nazione, ma una regione, una città, un individuo acquisiva un nuovo status quando riusciva ad ottenere una reliquia preziosa, che valeva più dell’argento e dell’oro (Sumption 1981: 38).
La presenza dell’insigne reliquia e la notizia delle prime guarigioni operate dal “medico celeste” a Marineo furono certamente due degli elementi che ne decisero il rapido passaggio, in un’epoca piena di carestie e pestilenze come la seconda metà del Seicento. Ancora oggi i marinesi concludono il rosario del santo con una preghiera finale per scongiurare, appunto, «fami, pesti, guerri, tirrimoti, piccati mortali e divini flagelli» (Benanti 1999).
Le reliquie garantivano prestigio politico e autorità spirituale. Un sermone di Walter Suffield, vescovo di Norwich, fu in gran parte dedicato a dimostrare che l’Inghilterra era superiore alle altre nazioni per la collezione di reliquie che possedeva. Non solo una nazione, ma una regione, una città, un individuo acquisiva un nuovo status quando riusciva ad ottenere una reliquia preziosa, che valeva più dell’argento e dell’oro (Sumption 1981: 38).
La presenza dell’insigne reliquia e la notizia delle prime guarigioni operate dal “medico celeste” a Marineo furono certamente due degli elementi che ne decisero il rapido passaggio, in un’epoca piena di carestie e pestilenze come la seconda metà del Seicento. Ancora oggi i marinesi concludono il rosario del santo con una preghiera finale per scongiurare, appunto, «fami, pesti, guerri, tirrimoti, piccati mortali e divini flagelli» (Benanti 1999).
La donazione di Alessandro VII
Il culto di san Ciro a Marineo trae origine dalla donazione di una reliquia concessa da papa Alessandro VII il 20 aprile 1665 al marchese Girolamo Pilo. La concessione e l’autenticità della reliquia, secondo la testimonianza di due parroci di Marineo, Natale Raineri (parroco dal 1923 al 1970) e Francesco La Spina (parroco dal 1970 al 1999), autori di alcuni libri sulla parrocchia, sarebbe provata da una «pergamena romana» (Mariano 1961: 198; La Spina 1976: 15) custodita all’interno dell’altare del santo, in chiesa Madre. Di questo documento si parla anche in un verbale redatto il 31 maggio 1935 in occasione del restauro dell’urna di argento che custodisce il teschio. Nel verbale si legge: «[...] Rimosso facilmente il coperchio, ha estratto un teschio che, da documenti esibiti di cui si annette copia, confortate dalla tradizione locale, risulta essere quello che dal 1665 è venerato quale insigne reliquia di san Ciro Martire». Nell’archivio della confraternita è conservata una copia del documento, però manca la copia della pergamena.
Sull'autenticità delle reliquie
Il culto di san Ciro a Marineo trae origine dalla donazione di una reliquia concessa da papa Alessandro VII il 20 aprile 1665 al marchese Girolamo Pilo. La concessione e l’autenticità della reliquia, secondo la testimonianza di due parroci di Marineo, Natale Raineri (parroco dal 1923 al 1970) e Francesco La Spina (parroco dal 1970 al 1999), autori di alcuni libri sulla parrocchia, sarebbe provata da una «pergamena romana» (Mariano 1961: 198; La Spina 1976: 15) custodita all’interno dell’altare del santo, in chiesa Madre. Di questo documento si parla anche in un verbale redatto il 31 maggio 1935 in occasione del restauro dell’urna di argento che custodisce il teschio. Nel verbale si legge: «[...] Rimosso facilmente il coperchio, ha estratto un teschio che, da documenti esibiti di cui si annette copia, confortate dalla tradizione locale, risulta essere quello che dal 1665 è venerato quale insigne reliquia di san Ciro Martire». Nell’archivio della confraternita è conservata una copia del documento, però manca la copia della pergamena.
Sull'autenticità delle reliquie
In realtà, quello dell’autenticità delle reliquie dei primi martiri cristiani rimane un argomento di difficile soluzione, tenuto conto del fatto che sono ormai trascorsi tantissimi secoli e, di fatto, non esistono documenti di prima mano. A complicare le cose sono intervenute altre cause. Il commercio di reliquie da parte di custodi senza scrupoli fu denunciato dal papa Gregorio Magno. Le reliquie sono state, fin dall’antichità, oggetto di contese, strumento di potere, prodotto di furti. Eginardo, amico e storico di Carlomagno aveva rubato i corpi di Marcellino e Pietro dalle catacombe di Roma. Uno dei più celebri furti fu la traslazione di san Nicola di Bari nel 1087. I mercanti di Bari, giunti a Mira per i loro commerci, con le spade sguainate lo sottrassero ai monaci increduli dicendo che «lo stesso san Nicola era apparso in sogno ad uno di loro e aveva chiesto di essere trasferito nella fiorente Bari per essere degnamente venerato». Questa è infatti la formula più frequente dei racconti: stato di abbandono della tomba, comparsa del santo in sogno agli uomini incaricati di compiere la traslazione, ripresa del culto e miracoli in favore della nuova comunità che ne venera degnamente le reliquie.
Altra causa di confusione riguarda invece i casi di omonimia, che possono portare ad attribuire le reliquie al più celebre tra omonimi. Come abbiamo visto, la Chiesa annovera ben sette santi di nome Ciro, di cui uno è popolare e sei sono pressoché sconosciuti alla moltitudine dei fedeli.
Il registro parrocchiale
Altra causa di confusione riguarda invece i casi di omonimia, che possono portare ad attribuire le reliquie al più celebre tra omonimi. Come abbiamo visto, la Chiesa annovera ben sette santi di nome Ciro, di cui uno è popolare e sei sono pressoché sconosciuti alla moltitudine dei fedeli.
Il registro parrocchiale
In mancanza di documenti di prima mano, sull’introduzione del culto di san Ciro in paese è sicuramente interessante l’analisi della diffusione del nome Ciro, osservabile attraverso una lettura del registro parrocchiale. E’ un dato certo che dal 1556, anno di istituzione della parrocchia, fino al 1664 nessuna persona in paese si chiamasse Ciro o Cira. Nei documenti dell’archivio parrocchiale questo nome non compare mai. Per la prima volta, il 24 giugno 1665 due genitori, Antonino e Adriana Ficarra, portarono il loro bambino, nato il giorno prima, dal parroco Onofrio Rocco e lo fecero battezzare chiamandolo Ciro. Questo fu il primo bambino marinese a portare il nome del nuovo patrono. Alla fine del 1665 ben 24 nati portavano il nome del santo, mentre nell’arco di due anni il nome Ciro fu dato a più di cento persone, in una popolazione che al tempo contava circa 2300 anime. Un fatto eccezionale, se si considera il tradizionale attaccamento dei siciliani ai nomi familiari o a quelli stereotipati. Anche nei secoli successivi si continuerà di questo passo, cosicché oggi è questo il nome più caratteristico di Marineo.
Pitré e la rivalità tra san Ciro e san Giusto
La prima descrizione etnografica compiuta sulla festa patronale di san Ciro a Marineo è quella di Giuseppe Pitrè. E’ interessante osservare come l’origine mitica del culto sia collegata alla rivalità tra marinesi e misilmeresi, i cui giovani abitanti si prendevano a sassate al confine territoriale. Scrive Pitrè: «Ai tempi dei tempi si trovarono a passare per Marineo due uomini di santa vita: San Ciro e San Giusto; ed allettati dalla bellezza del sito pensarono di rimanervi per sempre, e vi rimasero d’amore e d’accordo. Se non che, un bel giorno, non volendo e non potendo più stare insieme, decisero di dividersi il territorio e di andare ciascuno per fatti suoi: San Ciro prese Marineo, San Giusto Misilmeri. Sembra però che la divisione non avvenisse pacificamente; perché, a conti fatti, San Giusto si accorse di avere un dito di meno, cadutogli per non so che brutto fattogli dal rivale nel momento della divisione. – Questa vendetta si tradusse in odii tra marinesi e misilmeresi, i quali, trattandosi di rivalità, non è motteggio né ingiuria che non si barattino, compresa quella amarissima dei marinesi al presunto nemico del loro patrono: Si Santu Giustu fussi giustu ’un cci mancassi lu jiditu (se San Giusto fosse giusto, non gli mancherebbe il dito), che i misilmeresi non possono mandar giù e ricambiano con motteggi sanguinosi» (Pitrè 1978b: 131).
A proposito della gelosia di due santi e due paesi, sul Corriere dell’Isola del 25-26 settembre 1894 apparve anche una nota sulla «temerarietà dei misilmeresi» che si spinsero fino a togliere le randole dal carro trionfale di san Ciro in modo da farlo abbattere nel momento che fa il suo viaggio trionfale.
La prima descrizione etnografica compiuta sulla festa patronale di san Ciro a Marineo è quella di Giuseppe Pitrè. E’ interessante osservare come l’origine mitica del culto sia collegata alla rivalità tra marinesi e misilmeresi, i cui giovani abitanti si prendevano a sassate al confine territoriale. Scrive Pitrè: «Ai tempi dei tempi si trovarono a passare per Marineo due uomini di santa vita: San Ciro e San Giusto; ed allettati dalla bellezza del sito pensarono di rimanervi per sempre, e vi rimasero d’amore e d’accordo. Se non che, un bel giorno, non volendo e non potendo più stare insieme, decisero di dividersi il territorio e di andare ciascuno per fatti suoi: San Ciro prese Marineo, San Giusto Misilmeri. Sembra però che la divisione non avvenisse pacificamente; perché, a conti fatti, San Giusto si accorse di avere un dito di meno, cadutogli per non so che brutto fattogli dal rivale nel momento della divisione. – Questa vendetta si tradusse in odii tra marinesi e misilmeresi, i quali, trattandosi di rivalità, non è motteggio né ingiuria che non si barattino, compresa quella amarissima dei marinesi al presunto nemico del loro patrono: Si Santu Giustu fussi giustu ’un cci mancassi lu jiditu (se San Giusto fosse giusto, non gli mancherebbe il dito), che i misilmeresi non possono mandar giù e ricambiano con motteggi sanguinosi» (Pitrè 1978b: 131).
A proposito della gelosia di due santi e due paesi, sul Corriere dell’Isola del 25-26 settembre 1894 apparve anche una nota sulla «temerarietà dei misilmeresi» che si spinsero fino a togliere le randole dal carro trionfale di san Ciro in modo da farlo abbattere nel momento che fa il suo viaggio trionfale.
Le prime opere d'arte a Marineo
Per quanto riguarda il successivo sviluppo del culto a Marineo, è testimoniato soprattutto dalla commissione di opere d’arte finanziate, a partire dal XVII secolo, sia da parte marchesi di Marineo che dal popolo. Fra le prime opere in cui compare la figura di san Ciro c’è una tela della seconda metà del XVII secolo custodita nella chiesa Madre che lo raffigura circondato da putti alati (Trentacosti 1998: 83). L’urna d’argento che custodisce la reliquia fu finanziata nel 1702 da un devoto, Giovanni Gozzo, per grazia ricevuta. La base del reliquiario venne invece commissionata, nella stessa epoca, dal marchese Ignazio Pilo (Ivi: 90). Mentre, sull’altare monumentale che custodisce il teschio si legge: «edificato nel 1737 essendo marchese di Marineo Ignazio VI col concorso del popolo». Ulteriori testimonianze della diffusione del culto sono anche il mosaico di maiolica collocato nella facciata esterna della Matrice nel 1720; la cappella del 1897; la villa del Collegio e il monumento di san Ciro donato dagli emigrati in America nel 1901.
Per quanto riguarda il successivo sviluppo del culto a Marineo, è testimoniato soprattutto dalla commissione di opere d’arte finanziate, a partire dal XVII secolo, sia da parte marchesi di Marineo che dal popolo. Fra le prime opere in cui compare la figura di san Ciro c’è una tela della seconda metà del XVII secolo custodita nella chiesa Madre che lo raffigura circondato da putti alati (Trentacosti 1998: 83). L’urna d’argento che custodisce la reliquia fu finanziata nel 1702 da un devoto, Giovanni Gozzo, per grazia ricevuta. La base del reliquiario venne invece commissionata, nella stessa epoca, dal marchese Ignazio Pilo (Ivi: 90). Mentre, sull’altare monumentale che custodisce il teschio si legge: «edificato nel 1737 essendo marchese di Marineo Ignazio VI col concorso del popolo». Ulteriori testimonianze della diffusione del culto sono anche il mosaico di maiolica collocato nella facciata esterna della Matrice nel 1720; la cappella del 1897; la villa del Collegio e il monumento di san Ciro donato dagli emigrati in America nel 1901.