III.2. La festa di agosto
I festeggiamenti in onore del patrono, san Ciro, ricorrono in due distinti periodi dell’anno. Come abbiamo visto, il 31 gennaio è il giorno della festa detta di santu Ciru puvureddu (san Ciro povero), giorno in cui la Chiesa ricorda il martirio del santo, avvenuto nell’anno 303. La penultima di agosto si festeggia, invece, santu Ciru riccu (san Ciro ricco), ricorrenza in cui la parrocchia commemora la donazione della reliquia da parte della Santa sede.
Secondo quanto riferisce Cristaldo Mariano (pseudonimo del parroco Natale Raineri) «la reliquia giunse in paese il 20 agosto 1665, penultima domenica di quel mese» (1961: 199). Ciò sarebbe attestato dalla già citata «pergamena romana», cui fanno riferimento sia i sacerdoti marinesi che i documenti di ricognizione del teschio del 1936.
Nel volume Feste patronali in Sicilia, Giuseppe Pitrè, in una nota, richiama l’attenzione del lettore su un articolo apparso a puntate sul Corriere dell’Isola, tra il 21 e il 23 settembre 1894. L’autore è Francesco Sanfilippo, maestro elementare e locale corrispondente di quel giornale alla fine dell’Ottocento (Fiume 1986).
I festeggiamenti in onore del patrono, san Ciro, ricorrono in due distinti periodi dell’anno. Come abbiamo visto, il 31 gennaio è il giorno della festa detta di santu Ciru puvureddu (san Ciro povero), giorno in cui la Chiesa ricorda il martirio del santo, avvenuto nell’anno 303. La penultima di agosto si festeggia, invece, santu Ciru riccu (san Ciro ricco), ricorrenza in cui la parrocchia commemora la donazione della reliquia da parte della Santa sede.
Secondo quanto riferisce Cristaldo Mariano (pseudonimo del parroco Natale Raineri) «la reliquia giunse in paese il 20 agosto 1665, penultima domenica di quel mese» (1961: 199). Ciò sarebbe attestato dalla già citata «pergamena romana», cui fanno riferimento sia i sacerdoti marinesi che i documenti di ricognizione del teschio del 1936.
Nel volume Feste patronali in Sicilia, Giuseppe Pitrè, in una nota, richiama l’attenzione del lettore su un articolo apparso a puntate sul Corriere dell’Isola, tra il 21 e il 23 settembre 1894. L’autore è Francesco Sanfilippo, maestro elementare e locale corrispondente di quel giornale alla fine dell’Ottocento (Fiume 1986).
La festa nel 1894
Sanfilippo fa una dettagliata cronaca della festa del 1894, soffermandosi, in particolare, sulla descrizione della dimostranza. Nella parte introduttiva della esposizione, il maestro riferisce che la festa venne istituita nel mese di gennaio:
«[...] si istituì la festa il 31 gennaro, giorno che la prima volta entrò solennemente la reliquia in paese. Ma per beneplacido dei marinesi, una bolla arcivescovile permise loro di trasportare in trionfo ed il tripudio nel mese d’agosto; mese molto comodo ai campagnuoli che hanno terminato il raccolto» (Sanfilippo 1894).
Non è da escludere che le cose possano essere andate effettivamente come spiega Sanfilippo, e non come invece riferiscono le fonti ufficiali. Infatti, come abbiamo visto prima, la diffusione in paese del nome Ciro sarebbe dovuta iniziare dopo l’arrivo della reliquia, e non due mesi prima. Inoltre, è interessante notare come la festa di san Ciro d’agosto coincida effettivamente con la chiusura di un ciclo produttivo della campagna e l’inizio di uno nuovo.
Ancora oggi, i pochi contadini che hanno terreni in affitto entro la fine di agosto saldano i conti con i proprietari. Mentre i pastori, a fine mese, riconsegnano le terre avute per il pascolo. Agosto, in poche parole, è un mese molto comodo per “saldare i conti” sia coi proprietari delle terre che col santo patrono.
Ciò avviene con la cunnutta, processione in cui i devoti consegnano frumento e denaro al comitato organizzatore dei festeggiamenti, «in segno di riconoscenza al santo per la buona annata» e per garantirsi un buon raccolto anche in quella successiva.
Sanfilippo fa una dettagliata cronaca della festa del 1894, soffermandosi, in particolare, sulla descrizione della dimostranza. Nella parte introduttiva della esposizione, il maestro riferisce che la festa venne istituita nel mese di gennaio:
«[...] si istituì la festa il 31 gennaro, giorno che la prima volta entrò solennemente la reliquia in paese. Ma per beneplacido dei marinesi, una bolla arcivescovile permise loro di trasportare in trionfo ed il tripudio nel mese d’agosto; mese molto comodo ai campagnuoli che hanno terminato il raccolto» (Sanfilippo 1894).
Non è da escludere che le cose possano essere andate effettivamente come spiega Sanfilippo, e non come invece riferiscono le fonti ufficiali. Infatti, come abbiamo visto prima, la diffusione in paese del nome Ciro sarebbe dovuta iniziare dopo l’arrivo della reliquia, e non due mesi prima. Inoltre, è interessante notare come la festa di san Ciro d’agosto coincida effettivamente con la chiusura di un ciclo produttivo della campagna e l’inizio di uno nuovo.
Ancora oggi, i pochi contadini che hanno terreni in affitto entro la fine di agosto saldano i conti con i proprietari. Mentre i pastori, a fine mese, riconsegnano le terre avute per il pascolo. Agosto, in poche parole, è un mese molto comodo per “saldare i conti” sia coi proprietari delle terre che col santo patrono.
Ciò avviene con la cunnutta, processione in cui i devoti consegnano frumento e denaro al comitato organizzatore dei festeggiamenti, «in segno di riconoscenza al santo per la buona annata» e per garantirsi un buon raccolto anche in quella successiva.
Festa agraria
L’origine della festa patronale di san Ciro, come avviene per altri momenti festivi in Sicilia, aldilà della rifunzionalizzazione cristiana, può essere senz’altro trovata negli antichi riti agrari di propiziazione. Le feste contadine tradizionali hanno sempre avuto, fin da epoca precristiana, un carattere agrario. Erano riti intesi a propiziare l'ordinata scansione dei cicli stagionali, da cui dipendeva il buono o il cattivo destino dei raccolti (Buttitta 1996). Tutto era sottoposto rigidamente ai ritmi naturali: dalla loro annuale regolare ripetizione dipendeva la vita della comunità. Ciascuna festa doveva dunque essere celebrata in un tempo preciso, nel momento in cui in dipendenza dei mutamenti stagionali si passava da un'attività all'altra. L'aratura, la semina, la potatura, la raccolta dei diversi prodotti della terra venivano così a iscriversi in una dimensione religiosa, e i riti a questa connessi assolvevano precipuamente alla funzione di sacralizzare il tempo e lo spazio» (ibidem).
La festa di Marineo è suddivisa in due momenti dell’annata agraria: nel mese di gennaio assistiamo ad una ricorrenza «povera» di spese, ma molto ricca di preghiere (con nove giorni intensi di appuntamenti: rosari, messe, pellegrinaggi) in un momento in cui «la natura deve esprimere tutta la sua energia per produrre» (Giallombardo 1990: 117). A fine agosto, invece, «si recano offerte di grano per garantirsi la buona stagione e la salute del bestiame». (ivi: 118) Infatti, a fine estate «la terra deve prepararsi ai rigori dell’inverno, proteggendo dentro di sé il seme che assicurerà la nuova vegetazione» (ivi: 117).
Oggi questo rapporto tra comunità e natura non è più dominante, come è avvenuto fino alla fine degli anni Cinquanta, quando il paese viveva ancora di agricoltura. In questi casi, a livello collettivo, «la festa si rifunzionalizza a significare un’esigenza di rassicurazione che si origina dalla perdita di coesione delle società tradizionali e dalla conseguente crisi di identità culturale» (ivi: 119).
L’origine della festa patronale di san Ciro, come avviene per altri momenti festivi in Sicilia, aldilà della rifunzionalizzazione cristiana, può essere senz’altro trovata negli antichi riti agrari di propiziazione. Le feste contadine tradizionali hanno sempre avuto, fin da epoca precristiana, un carattere agrario. Erano riti intesi a propiziare l'ordinata scansione dei cicli stagionali, da cui dipendeva il buono o il cattivo destino dei raccolti (Buttitta 1996). Tutto era sottoposto rigidamente ai ritmi naturali: dalla loro annuale regolare ripetizione dipendeva la vita della comunità. Ciascuna festa doveva dunque essere celebrata in un tempo preciso, nel momento in cui in dipendenza dei mutamenti stagionali si passava da un'attività all'altra. L'aratura, la semina, la potatura, la raccolta dei diversi prodotti della terra venivano così a iscriversi in una dimensione religiosa, e i riti a questa connessi assolvevano precipuamente alla funzione di sacralizzare il tempo e lo spazio» (ibidem).
La festa di Marineo è suddivisa in due momenti dell’annata agraria: nel mese di gennaio assistiamo ad una ricorrenza «povera» di spese, ma molto ricca di preghiere (con nove giorni intensi di appuntamenti: rosari, messe, pellegrinaggi) in un momento in cui «la natura deve esprimere tutta la sua energia per produrre» (Giallombardo 1990: 117). A fine agosto, invece, «si recano offerte di grano per garantirsi la buona stagione e la salute del bestiame». (ivi: 118) Infatti, a fine estate «la terra deve prepararsi ai rigori dell’inverno, proteggendo dentro di sé il seme che assicurerà la nuova vegetazione» (ivi: 117).
Oggi questo rapporto tra comunità e natura non è più dominante, come è avvenuto fino alla fine degli anni Cinquanta, quando il paese viveva ancora di agricoltura. In questi casi, a livello collettivo, «la festa si rifunzionalizza a significare un’esigenza di rassicurazione che si origina dalla perdita di coesione delle società tradizionali e dalla conseguente crisi di identità culturale» (ivi: 119).
La festa che si celebra in agosto è molto ricca di valenze folcloristiche e sociali ed è carica di accenti fortemente campanilistici, già individuati da Giuseppe Pitré nella rivalità tra marinesi e misilmeresi e nelle gelosie tra l’africano Ciro e il trentino Giusto.
Gli emigrati
Gli emigrati
Quello d’agosto è un appuntamento che riesce ad attrarre tantissimi visitatori. In diverse occasioni sono state accolte delegazioni provenienti dagli Stati Uniti. Con il ritorno degli emigrati in paese, che approfittano delle ferie estive per concedersi un poco di riposo con la famiglia, questa festa assume una fondamentale funzione aggregativa e di autoidentificazione della comunità. Gli emigrati «nella festa del proprio paese verificano la persistenza della loro comunità e tornando a riviverla la riconfermano a se stessi» (Buttitta 1996: 265).
Uno degli appuntamenti fissi del calendario festivo è il ricevimento in consiglio comunale degli emigrati presenti in paese nei giorni di festa. Si tratta di una seduta straordinaria dell’assemblea civica, nel corso della quale viene annualmente rinnovato il patto di amicizia tra gli amministratori della terra natia e i fratelli che vivono all’estero. In questa occasione avviene uno scambio di doni (targhe ricordo, oggetti artigianali e simboli nazionali) e si programmano iniziative in comune.
Dal 19 agosto al 12 settembre 2005, nei locali del castello, si è svolta una mostra fotografica, dal titolo “The other Sicily”, sulla festa di san Ciro, negli anni Quaranta, a New York. L’autore è Dominic Quartuccio, fotoreporter italo-americano in pensione, che ha un lungo carnet di premi, viaggi per il mondo e immagini scattate per il New York Times. Di questo parleremo più avanti, quando tratteremo della festa negli Stati Uniti d’America.
Uno degli appuntamenti fissi del calendario festivo è il ricevimento in consiglio comunale degli emigrati presenti in paese nei giorni di festa. Si tratta di una seduta straordinaria dell’assemblea civica, nel corso della quale viene annualmente rinnovato il patto di amicizia tra gli amministratori della terra natia e i fratelli che vivono all’estero. In questa occasione avviene uno scambio di doni (targhe ricordo, oggetti artigianali e simboli nazionali) e si programmano iniziative in comune.
Dal 19 agosto al 12 settembre 2005, nei locali del castello, si è svolta una mostra fotografica, dal titolo “The other Sicily”, sulla festa di san Ciro, negli anni Quaranta, a New York. L’autore è Dominic Quartuccio, fotoreporter italo-americano in pensione, che ha un lungo carnet di premi, viaggi per il mondo e immagini scattate per il New York Times. Di questo parleremo più avanti, quando tratteremo della festa negli Stati Uniti d’America.
Le trasformazioni
Quella di san Ciro è una festa molto vitale che segue i ritmi, la storia e l’evoluzione culturale della comunità. Prova evidente di ciò ne è la dimostranza, spettacolo teatrale itinerante della vita del santo, il cui testo, nel tempo, ha seguito una lenta ma continua trasformazione che, a detta dei marinesi, rende la sceneggiatura sempre viva e attuale. Tutti i tentativi per impedire o alterare la sua naturale metamorfosi sono andati a vuoto.
Un esempio di questa particolarità può essere visto in ciò che è avvenuto negli anni sessanta, quando il parroco Natale Raineri, di colpo, trasformò radicalmente la manifestazione, limitandola, però, ad una fruizione più partecipata ed impegnativa con evidente destinazione teatrale, da rappresentare sul palco. La profonda operazione di “restauro” non riuscì al sacerdote. Gli attori, già dall’edizione successiva, vollero tornare a recitare nelle strade e nelle piazze, con i testi della tradizione, poiché:
«[...] il cosiddetto popolo non accetta passivamente e acriticamente quanto discende “dall’alto”. [...] Quanto è percepito come ancora funzionale a modi di vita, a sistemi di attese, resta; altro cambia; altro si perde, semplicemente perché non ha più ragion d’essere rispetto a mutati regimi di esistenza» (Guggino 2004: 380).
Qualcosa di simile, negli anni Novanta, avvenne anche con la cunnutta, quando la congregazione, per ragioni di fruizione turistica, aveva deciso di spostare l’orario della processione nel pomeriggio. Anche i questo caso, i devoti fecero di testa propria, sfilando come al solito la domenica mattina, alle 10: orario ritenuto più comodo, dovendo anche occuparsi della sistemazione degli animali nelle stalle in un giorno di festa.
Tornando alla dimostranza, anche l’interpretazione del personaggio di san Ciro, nel corso dei decenni, ha subito delle trasformazioni al passo coi tempi. Una persona che ha rivalutato e dato un volto nuovo alla dimostranza è stato il regista Accursio Di Leo. Lui portava delle innovazioni, che chiamava “contaminatio”, per attualizzarla.
Nel corso degli anni, nella scena IX degli infermi, san Ciro si è presentato al pubblico ora come il medico dei mali dello spirito (anni Settanta), ora come il dottore del drogato (anni Ottanta), ora come l’estremo rimedio ai mali della guerra (anni Novanta) o all’odio tra i popoli (Duemila).
E nell’Ottocento?
«Eccoci san Ciro già uomo completo, laureato medico che prodiga le cure agli ammalati poveri e fa prodigi. Egli come tutti i taumaturghi veste con zimmarra, cappello a cilindro e canna d’America col pomo d’argento. (Badate: in quell’epoca del martirio, cioè al terzo secolo dell’era nostra, in Alessandria d’Egitto questa moda dei cappelli a cilindro c’era; forse fu modellata su qualche geroglifico. Ed è per questo che si suol dire: cose d’Egitto)» (Sanfilippo 1894).
Altro esempio emblematico del mutamento del costume è quello della partecipazione delle donne alla manifestazione. Presenti nelle descrizioni di fine Ottocento, le donne sono invece assenti in tutte le fotografie della manifestazione dei primi anni del Novecento fino agli anni Cinquanta.
L’organizzazione di questo momento festivo comporta delle difficoltà economiche non indifferenti. La dimostranza, “colossal” con oltre duecento tra attori volontari, comparse e assistenti di scena, viene organizzata, per questo motivo, con cadenza pluriennale. Pure per ragioni economiche, alla fine dell’Ottocento gli organizzatori alternavano la dimostranza con il carro trionfale. Un anno si rappresentava la prima, un anno andava in scena il secondo (Pitré 1978b).
Anche la cunnutta, processione di devoti che portano frumento al santo, ha subito una lenta metamorfosi. Mancando il retroterra sociale ed economico in cui le feste contadine affondano le radici si è assistito a necessarie trasformazioni, nella forma e, in parte, anche nello spirito.
Così, il mulo viene inesorabilmente sostituito con l’automobile e con i mezzi agricoli; il frumento con il denaro. In compenso, negli ultimi anni, si è assistito ad un ritorno del cavallo: non più compagno di lavoro dell’uomo, ma di svago; non più segno dell’umile condizione del contadino, ma della persona benestante.
Sono molti i fedeli che oggi prendono un cavallo in un maneggio e comprano il frumento al mulino per poter “sfilare” alla cunnutta.
Insomma, la festa continua a radicarsi nei gangli vitali del contesto sociale ed economico in cui vive. Ma le tradizioni, nonostante i cambiamenti fisiologici, continuano a resistere.
Un esempio di questa particolarità può essere visto in ciò che è avvenuto negli anni sessanta, quando il parroco Natale Raineri, di colpo, trasformò radicalmente la manifestazione, limitandola, però, ad una fruizione più partecipata ed impegnativa con evidente destinazione teatrale, da rappresentare sul palco. La profonda operazione di “restauro” non riuscì al sacerdote. Gli attori, già dall’edizione successiva, vollero tornare a recitare nelle strade e nelle piazze, con i testi della tradizione, poiché:
«[...] il cosiddetto popolo non accetta passivamente e acriticamente quanto discende “dall’alto”. [...] Quanto è percepito come ancora funzionale a modi di vita, a sistemi di attese, resta; altro cambia; altro si perde, semplicemente perché non ha più ragion d’essere rispetto a mutati regimi di esistenza» (Guggino 2004: 380).
Qualcosa di simile, negli anni Novanta, avvenne anche con la cunnutta, quando la congregazione, per ragioni di fruizione turistica, aveva deciso di spostare l’orario della processione nel pomeriggio. Anche i questo caso, i devoti fecero di testa propria, sfilando come al solito la domenica mattina, alle 10: orario ritenuto più comodo, dovendo anche occuparsi della sistemazione degli animali nelle stalle in un giorno di festa.
Tornando alla dimostranza, anche l’interpretazione del personaggio di san Ciro, nel corso dei decenni, ha subito delle trasformazioni al passo coi tempi. Una persona che ha rivalutato e dato un volto nuovo alla dimostranza è stato il regista Accursio Di Leo. Lui portava delle innovazioni, che chiamava “contaminatio”, per attualizzarla.
Nel corso degli anni, nella scena IX degli infermi, san Ciro si è presentato al pubblico ora come il medico dei mali dello spirito (anni Settanta), ora come il dottore del drogato (anni Ottanta), ora come l’estremo rimedio ai mali della guerra (anni Novanta) o all’odio tra i popoli (Duemila).
E nell’Ottocento?
«Eccoci san Ciro già uomo completo, laureato medico che prodiga le cure agli ammalati poveri e fa prodigi. Egli come tutti i taumaturghi veste con zimmarra, cappello a cilindro e canna d’America col pomo d’argento. (Badate: in quell’epoca del martirio, cioè al terzo secolo dell’era nostra, in Alessandria d’Egitto questa moda dei cappelli a cilindro c’era; forse fu modellata su qualche geroglifico. Ed è per questo che si suol dire: cose d’Egitto)» (Sanfilippo 1894).
Altro esempio emblematico del mutamento del costume è quello della partecipazione delle donne alla manifestazione. Presenti nelle descrizioni di fine Ottocento, le donne sono invece assenti in tutte le fotografie della manifestazione dei primi anni del Novecento fino agli anni Cinquanta.
L’organizzazione di questo momento festivo comporta delle difficoltà economiche non indifferenti. La dimostranza, “colossal” con oltre duecento tra attori volontari, comparse e assistenti di scena, viene organizzata, per questo motivo, con cadenza pluriennale. Pure per ragioni economiche, alla fine dell’Ottocento gli organizzatori alternavano la dimostranza con il carro trionfale. Un anno si rappresentava la prima, un anno andava in scena il secondo (Pitré 1978b).
Anche la cunnutta, processione di devoti che portano frumento al santo, ha subito una lenta metamorfosi. Mancando il retroterra sociale ed economico in cui le feste contadine affondano le radici si è assistito a necessarie trasformazioni, nella forma e, in parte, anche nello spirito.
Così, il mulo viene inesorabilmente sostituito con l’automobile e con i mezzi agricoli; il frumento con il denaro. In compenso, negli ultimi anni, si è assistito ad un ritorno del cavallo: non più compagno di lavoro dell’uomo, ma di svago; non più segno dell’umile condizione del contadino, ma della persona benestante.
Sono molti i fedeli che oggi prendono un cavallo in un maneggio e comprano il frumento al mulino per poter “sfilare” alla cunnutta.
Insomma, la festa continua a radicarsi nei gangli vitali del contesto sociale ed economico in cui vive. Ma le tradizioni, nonostante i cambiamenti fisiologici, continuano a resistere.
Quattro giorni di festa
Le celebrazioni durano quattro giorni. Si aprono il venerdì precedente la penultima domenica di agosto, e si concludono il lunedì successivo. Ognuno di questi giorni è caratterizzato da particolari manifestazioni religiose e civili.
L’organizzazione è curata dalla confraternita, che in quest’occasione, grazie alla presenza di turisti e al ritorno degli emigrati, riesce ad ottenere la collaborazione del Comune e di altri enti quali la Provincia o la Regione, i quali spesso offrono spettacoli folk o altri servizi.
Le celebrazioni durano quattro giorni. Si aprono il venerdì precedente la penultima domenica di agosto, e si concludono il lunedì successivo. Ognuno di questi giorni è caratterizzato da particolari manifestazioni religiose e civili.
L’organizzazione è curata dalla confraternita, che in quest’occasione, grazie alla presenza di turisti e al ritorno degli emigrati, riesce ad ottenere la collaborazione del Comune e di altri enti quali la Provincia o la Regione, i quali spesso offrono spettacoli folk o altri servizi.
I festeggiamenti hanno ufficialmente inizio il venerdì sera, con la celebrazione, intorno alle diciotto, della messa nella cappella di san Ciro, situata all’ingresso del paese.
Già alcuni giorni prima i devoti, hanno iniziato a fare i viaggi a san Ciro, pellegrinaggi spontanei che precedono entrambe le feste, quella di agosto e quella di gennaio.
Dopo la messa di apertura, si svolge, per le vie del paese, «lu giru di li tammurinara», che annunciano l’inizio della festa.
Il suono del tamburo accompagna sia i momenti festivi invernali che estivi. L’unica differenza consiste nel numero dei suonatori: nel primo caso è sufficiente uno, nel secondo ne vengono contattati almeno quattro.
Per tutto il periodo festivo, ogni giorno si può assistere a diverse gare sportive (tornei di calcio, tennis, pallavolo) e di abilità (gimcane, cacce al tesoro, gare tra quartieri) organizzate in collaborazione con le associazioni locali.
Per le realtà associative, la festa costituisce una “vetrina”, un’occasione per fare conoscere le attività svolte nel corso dell’anno ai concittadini, ma anche per farsi notare dagli amministratori pubblici, che le sostengono con contributi economici.
Fino agli anni Settanta si offriva, invece, uno spettacolo più genuino con le corse con i sacchi o il palo della cuccagna.
Già alcuni giorni prima i devoti, hanno iniziato a fare i viaggi a san Ciro, pellegrinaggi spontanei che precedono entrambe le feste, quella di agosto e quella di gennaio.
Dopo la messa di apertura, si svolge, per le vie del paese, «lu giru di li tammurinara», che annunciano l’inizio della festa.
Il suono del tamburo accompagna sia i momenti festivi invernali che estivi. L’unica differenza consiste nel numero dei suonatori: nel primo caso è sufficiente uno, nel secondo ne vengono contattati almeno quattro.
Per tutto il periodo festivo, ogni giorno si può assistere a diverse gare sportive (tornei di calcio, tennis, pallavolo) e di abilità (gimcane, cacce al tesoro, gare tra quartieri) organizzate in collaborazione con le associazioni locali.
Per le realtà associative, la festa costituisce una “vetrina”, un’occasione per fare conoscere le attività svolte nel corso dell’anno ai concittadini, ma anche per farsi notare dagli amministratori pubblici, che le sostengono con contributi economici.
Fino agli anni Settanta si offriva, invece, uno spettacolo più genuino con le corse con i sacchi o il palo della cuccagna.
I cavalli
La corsa dei cavalli, descritta anche nel documento della festa del 1746 (Deputati della solennità 1746), consisteva, sostanzialmente, nel far correre i cavalli lungo la strada principale del paese, il corso dei Mille, chiamato per questo motivo “la strata di la cursa”.
Da una ventina d’anni a questa parte, per motivi di ordine pubblico, la Prefettura di Palermo non ha più concesso l’autorizzazione alle gare.
In mancanza delle corse, negli ultimi anni, gli allevatori di cavalli hanno chiesto e ottenuto di organizzare delle mostre equine e delle sfilate, per attirare l’attenzione della cittadinanza sulla realtà zootecnica.
Anche gli artigiani hanno cercato di sfruttare l’occasione festiva per pubblicizzare le loro attività. La Mostra dei prodotti di artigianato è stata utilizzata dai sindacati degli artigiani per veicolare una nuova immagine del paese, soprattutto a livello politico regionale: non più comune ad economia agricola e pastorale, bensì artigianale.
Nel già citato documento sulla festa del 1746 «si dà avviso che la Fiera è franca al solito giorni otto prima e quattro dopo». Per l’occasione, infatti, veniva abolita la tassa del dazio.
L’aria festiva, in questi giorni, si avverte fin dalle prime ore del mattino: ogni giorno alle sette vi è l’alborata, ossia lo scoppio di mortai, che ricorda ai marinesi che è un giorno speciale.
Per tutta la giornata, nella chiesa Madre si celebrano messe come per i giorni festivi.
Saltuariamente, il sabato viene celebrata una messa dedicata ai malati. Si tratta di una funzione particolare, poiché oltre alla tradizionale celebrazione, si può assistere all’unzione degli infermi. In passato, «la confraternita si faceva carico, come atto di volontariato, di andare a prendere gli infermi a casa, per farli partecipare alla messa. Anche perché ci affidiamo a san Ciro soprattutto per la cura del nostro corpo, per avere la salute».
La corsa dei cavalli, descritta anche nel documento della festa del 1746 (Deputati della solennità 1746), consisteva, sostanzialmente, nel far correre i cavalli lungo la strada principale del paese, il corso dei Mille, chiamato per questo motivo “la strata di la cursa”.
Da una ventina d’anni a questa parte, per motivi di ordine pubblico, la Prefettura di Palermo non ha più concesso l’autorizzazione alle gare.
In mancanza delle corse, negli ultimi anni, gli allevatori di cavalli hanno chiesto e ottenuto di organizzare delle mostre equine e delle sfilate, per attirare l’attenzione della cittadinanza sulla realtà zootecnica.
Anche gli artigiani hanno cercato di sfruttare l’occasione festiva per pubblicizzare le loro attività. La Mostra dei prodotti di artigianato è stata utilizzata dai sindacati degli artigiani per veicolare una nuova immagine del paese, soprattutto a livello politico regionale: non più comune ad economia agricola e pastorale, bensì artigianale.
Nel già citato documento sulla festa del 1746 «si dà avviso che la Fiera è franca al solito giorni otto prima e quattro dopo». Per l’occasione, infatti, veniva abolita la tassa del dazio.
L’aria festiva, in questi giorni, si avverte fin dalle prime ore del mattino: ogni giorno alle sette vi è l’alborata, ossia lo scoppio di mortai, che ricorda ai marinesi che è un giorno speciale.
Per tutta la giornata, nella chiesa Madre si celebrano messe come per i giorni festivi.
Saltuariamente, il sabato viene celebrata una messa dedicata ai malati. Si tratta di una funzione particolare, poiché oltre alla tradizionale celebrazione, si può assistere all’unzione degli infermi. In passato, «la confraternita si faceva carico, come atto di volontariato, di andare a prendere gli infermi a casa, per farli partecipare alla messa. Anche perché ci affidiamo a san Ciro soprattutto per la cura del nostro corpo, per avere la salute».
L'olio di san Ciro
Oggi questo rituale si pratica solo in chiesa. Ma fino a qualche tempo fa esisteva l’olio di san Ciro, posto in apposite ampolle e portato nelle case dei fedeli dai sacerdoti o dai confrati. In contrada Serena esisteva, inoltre, un ulivo secolare, chiamato dai contadini di Marineo «la chianca di santu Ciru, il cui olio serviva per riempire le ampolle e per alimentare la lampada votiva in chiesa» (Mariano 1964).
Queste usanze sono state accantonate dalle autorità ecclesiastiche, poiché ritenute troppo cariche di valenze magiche e superstiziose. Adesso, l’olio di san Ciro non viene più preparato. Mentre la lampada votiva viene alimentata elettricamente.
Il sabato pomeriggio si entra nel vivo delle manifestazioni, con la dimostranza, rappresentazione in costumi d’epoca della vita del santo, che viene organizzata, in genere, ogni tre o quattro anni.
È, comunque, la domenica il giorno più ricco di celebrazioni religiose.
In mattinata, intorno alle dieci, si svolge la prima processione, la cunnutta, ossia il trasporto dei doni votivi al santo.
Oltre alle consuete messe festive, si svolge una celebrazione solenne con panegirico a mezzogiorno, che vede la presenza delle autorità. Seduti nei banchi riservati nelle prime file troviamo, in ordine, il sindaco, il maresciallo dei carabinieri, il comandante dei vigili urbani, il superiore e i confrati della confraternita di san Ciro, un gruppo di assessori e consiglieri comunali. «Nelle feste la partecipazione delle massime autorità tanto religiose quanto civili è sempre stata ritenuta indispensabile. La loro presenza, in quanto vertice di fatto dell’intero corpo sociale, costituiva di fatto la garanzia nel momento della rifondazione del tempo, della ricostituzione della società stessa» (Buttitta 1996: 263).
All’ingresso della chiesa viene allestito lu tavulinu: un tavolo con una statuetta di san Ciro in argento e lu cannistru, ossia il cesto dove i devoti consegnano le offerte: in denaro o ex-voto.
All’uscita dalla chiesa, nelle pasticcerie e nei bar, tra le delizie locali che abbondano nei banconi, è possibile acquistare anche il “medaglione di san Ciro”, a base di pasta di mandorle e zucchero.
L’altra celebrazione solenne è quella serale, alle diciannove, officiata all’aperto dal cardinale arcivescovo di Palermo o da un suo vicario, a cui partecipa tutta la comunità.
Dopo la messa vespertina, alle ventuno ha inizio la processione della reliquia del santo. Il percorso e l’ordine processionale è lo stesso di gennaio.
Il lunedì si concludono i festeggiamenti. Alle dodici, nella chiesa Madre, viene celebrata una messa che vede la partecipazione dei sacerdoti marinesi. Questa, soprattutto per i religiosi che vivono fuori paese, è un’occasione per ritornare a casa e incontrare i confratelli. Dopo la messa, i sacerdoti pranzano assieme al parroco per avere un momento di comunione, non solo religiosa, ma anche un rapporto con la comunità locale.
Nel corso della mattinata e nel pomeriggio vengono organizzate manifestazioni di intrattenimento (gare automobilistiche, corse di biciclette o podistiche, sfilate di cavalli, esibizioni di gruppi folk).
I festeggiamenti si chiudono a tarda sera con un concerto musicale. Il nome di grido dell’artista, quando le disponibilità economiche lo consentono, serve a richiamare in paese spettatori dai paesi vicini.
Oggi questo rituale si pratica solo in chiesa. Ma fino a qualche tempo fa esisteva l’olio di san Ciro, posto in apposite ampolle e portato nelle case dei fedeli dai sacerdoti o dai confrati. In contrada Serena esisteva, inoltre, un ulivo secolare, chiamato dai contadini di Marineo «la chianca di santu Ciru, il cui olio serviva per riempire le ampolle e per alimentare la lampada votiva in chiesa» (Mariano 1964).
Queste usanze sono state accantonate dalle autorità ecclesiastiche, poiché ritenute troppo cariche di valenze magiche e superstiziose. Adesso, l’olio di san Ciro non viene più preparato. Mentre la lampada votiva viene alimentata elettricamente.
Il sabato pomeriggio si entra nel vivo delle manifestazioni, con la dimostranza, rappresentazione in costumi d’epoca della vita del santo, che viene organizzata, in genere, ogni tre o quattro anni.
È, comunque, la domenica il giorno più ricco di celebrazioni religiose.
In mattinata, intorno alle dieci, si svolge la prima processione, la cunnutta, ossia il trasporto dei doni votivi al santo.
Oltre alle consuete messe festive, si svolge una celebrazione solenne con panegirico a mezzogiorno, che vede la presenza delle autorità. Seduti nei banchi riservati nelle prime file troviamo, in ordine, il sindaco, il maresciallo dei carabinieri, il comandante dei vigili urbani, il superiore e i confrati della confraternita di san Ciro, un gruppo di assessori e consiglieri comunali. «Nelle feste la partecipazione delle massime autorità tanto religiose quanto civili è sempre stata ritenuta indispensabile. La loro presenza, in quanto vertice di fatto dell’intero corpo sociale, costituiva di fatto la garanzia nel momento della rifondazione del tempo, della ricostituzione della società stessa» (Buttitta 1996: 263).
All’ingresso della chiesa viene allestito lu tavulinu: un tavolo con una statuetta di san Ciro in argento e lu cannistru, ossia il cesto dove i devoti consegnano le offerte: in denaro o ex-voto.
All’uscita dalla chiesa, nelle pasticcerie e nei bar, tra le delizie locali che abbondano nei banconi, è possibile acquistare anche il “medaglione di san Ciro”, a base di pasta di mandorle e zucchero.
L’altra celebrazione solenne è quella serale, alle diciannove, officiata all’aperto dal cardinale arcivescovo di Palermo o da un suo vicario, a cui partecipa tutta la comunità.
Dopo la messa vespertina, alle ventuno ha inizio la processione della reliquia del santo. Il percorso e l’ordine processionale è lo stesso di gennaio.
Il lunedì si concludono i festeggiamenti. Alle dodici, nella chiesa Madre, viene celebrata una messa che vede la partecipazione dei sacerdoti marinesi. Questa, soprattutto per i religiosi che vivono fuori paese, è un’occasione per ritornare a casa e incontrare i confratelli. Dopo la messa, i sacerdoti pranzano assieme al parroco per avere un momento di comunione, non solo religiosa, ma anche un rapporto con la comunità locale.
Nel corso della mattinata e nel pomeriggio vengono organizzate manifestazioni di intrattenimento (gare automobilistiche, corse di biciclette o podistiche, sfilate di cavalli, esibizioni di gruppi folk).
I festeggiamenti si chiudono a tarda sera con un concerto musicale. Il nome di grido dell’artista, quando le disponibilità economiche lo consentono, serve a richiamare in paese spettatori dai paesi vicini.
L'economia
Le giornate di festa costituiscono per le attività commerciali una buona fonte di guadagni. Sono i bar, le paninerie, le pizzerie a lavorare più di tutti e fino all’alba. Un incremento degli affari si registra anche per altri settori del commercio: l’abbigliamento e gli alimentari.
L’occasione festiva è uno dei momenti dell’anno in cui viene rinnovato il guardaroba. Mentre a tavola si festeggia con inviti di parenti e abbondanza di portate. La ricorrenza festiva è, infatti, anche l’occasione per sanare contrasti familiari (Buttitta 1996: 263).
I bar, le macellerie e gli esercizi commerciali che hanno fatto buoni affari nei gironi di festa saranno particolarmente generosi con il comitato organizzatore al momento della questua. L’offerta in denaro dei devoti e delle attività commerciali è libera.
A questi operatori commerciali se ne aggiungono altri che montano le bancarelle nei giorni di festa: non mancano mai i tradizionali venditori di calia e simenza, zucchero filato, torrone, palloncini e le giostre. La novità di oggi è la presenza di senegalesi che propongono i loro oggetti etnici e di cinesi con prodotti a buon mercato. A loro non viene chiesto alcun contributo per le spese della festa, pagano soltanto l’occupazione del suolo pubblico al Comune.
A chiudere la festa è uno spettacolo di fuochi pirotecnici che, assieme al concerto musicale richiedono una buona parte delle risorse a disposizione della confraternita.
L’occasione festiva è uno dei momenti dell’anno in cui viene rinnovato il guardaroba. Mentre a tavola si festeggia con inviti di parenti e abbondanza di portate. La ricorrenza festiva è, infatti, anche l’occasione per sanare contrasti familiari (Buttitta 1996: 263).
I bar, le macellerie e gli esercizi commerciali che hanno fatto buoni affari nei gironi di festa saranno particolarmente generosi con il comitato organizzatore al momento della questua. L’offerta in denaro dei devoti e delle attività commerciali è libera.
A questi operatori commerciali se ne aggiungono altri che montano le bancarelle nei giorni di festa: non mancano mai i tradizionali venditori di calia e simenza, zucchero filato, torrone, palloncini e le giostre. La novità di oggi è la presenza di senegalesi che propongono i loro oggetti etnici e di cinesi con prodotti a buon mercato. A loro non viene chiesto alcun contributo per le spese della festa, pagano soltanto l’occupazione del suolo pubblico al Comune.
A chiudere la festa è uno spettacolo di fuochi pirotecnici che, assieme al concerto musicale richiedono una buona parte delle risorse a disposizione della confraternita.