XI. LA PROCESSIONE DI S.CIRO

Libro a puntate (testi di Nuccio Benanti)
III.3. La processione
L’ordine delle confraternite e dei fedeli nella processione di san Ciro è rigidamente strutturato. La posizione di ciascuno rispetto alla vara è indice di gerarchie sociali riconosciute. Un ordine della società naturale dato da dinamiche generazionali e dall’altro a quelle socio-economiche e politiche.
«I riti, in particolare la struttura delle processioni, pur apparentemente prefiggendosi lo scopo di testimoniare la devozione di tutti i ceti e le classi di età, di fatto confermano e ne giustificano la stratificazione. Mediante le confraternite o privilegi particolari, le varie categorie professionali tendono nelle processioni a esibire, attraverso l’ostentazione dell’impegno devozionale, la loro forza economica» (Buttitta 1996: 264).
Ordine
Apre la processione il tamburo che, col suo suono, avvisa del passaggio del corteo.
Poi viene lo stendardo di san Ciro, che va sempre accompagnato da tre confratelli, di cui due con il cero acceso. In genere, è il superiore ad indicare chi deve accompagnare il gonfalone. A seguire, sfilano gli iscritti alla congregazione, disposti su due file.
All’interno della confraternita esiste una forma di riguardo dei giovani verso gli anziani. Questi ultimi trovano posto più vicini alla vara.
I confrati indossano un abitino di velluto rosso. Si tratta di un doppio pettorale con un ricamo dorato: la palma. Il colore rosso e la palma sono ritenuti simboli del martirio del santo. Inoltre, portano attorno al collo un medaglione d’argento raffigurante san Ciro. Segno distintivo del superiore è il colore oro del medaglione e la presenza di una crocetta.
Dopo la confraternita si sistema il clero: il parroco, alcuni sacerdoti marinesi ritornati in paese per l’occasione festiva, i frati francescani del convento di Marineo e le suore del collegio di Maria, accompagnati da un gruppetto di chierichetti.
Il superiore e altri confrati anziani si sistemano alle spalle del clero, in prossimità della vara del santo, con il compito di sorvegliare, dirigere i movimenti della macchina e le soste. Accanto alla macchina sono posizionati anche due carabinieri.
Subito dopo vi è la vara. Si tratta di un’impalcatura lignea del ’700, decorata sui lati da alcuni dipinti che narrano la storia di san Ciro. Inizialmente era portata a spalla dai deputati, ma nel dopoguerra si decise di trasportarla su una macchina donata da un devoto. La struttura è sistemata in modo tale da fare vedere solo le ruote e la parte anteriore dell’automobile: una Fiat degli anni Quaranta.
La vara
L’automobile è guidata da un meccanico incaricato dalla confraternita. Guidare la macchina è un privilegio molto ambito, tanto che in passato si sono verificate contese tra autisti proprio per il diritto a condurre il mezzo. Un privilegio recente, che sostituisce quello più antico di appuzzari sutta la vara, vale a dire di portare a spalla il santo (Pitré 1978b).
Il meccanico segue le indicazioni del superiore della confraternita. La macchina deve sostare solo nelle chiese, nelle cappelle e in alcuni «luoghi deputati, che corrispondono ai quartieri principali del paese». Eccezionalmente, il superiore della confraternita può concedere la sosta davanti l’abitazione di un infermo. Anche se, in passato, è successo che l’autista abbia fatto di testa propria, concedendo o negando una sosta.
La reliquia è seguita dalle autorità. Quelle civili: il sindaco, gli assessori e una rappresentanza dei consiglieri comunali più vicini al partito del primo cittadino. E quelle militari: i comandanti della locale stazione dei carabinieri e dei vigili urbani. Tutti sono posizionati dietro il gonfalone comunale, scortato da due vigili.
Uno sparuto gruppo di... “fedelissimi” si frappongono tra il santo e le autorità cittadine, appoggiando la mano sulla vara in segno di richiesta di una grazia particolare. Si tratta di persone che, a causa di una particolare necessità, e quindi di una richiesta al santo, desiderano stare a contatto con la reliquia, nella convinzione che la vicinanza possa agevolare la grazia per se o per un familiare. E’ questa la spiegazione che loro danno. Il problema nasce quando, a grazia avvenuta, sopravvengono altre necessità o il devoto, a quel punto, ritiene di avere acquisito un privilegio, una dispensa che nessuno potrà più togliergli: vale a dire il diritto di stare appoggiato alla vara... a vita!
La loro presenza accanto al fercolo, in una processione così ben ordinata, è considerata dagli organizzatori un elemento di disturbo. Nel tempo, solo i più tenaci riescono a respingere i rimproveri incrociati di parroco e confrati, continuando ad appoggiarsi alla macchina. Poche persone, alla fine accettate dalla comunità dei fedeli con rassegnazione.
Le autorità cittadine vengono così a trovarsi in uno spazio, tra l’altro inquinato dal fumo non catalizzato della marmitta della vecchia Fiat, tra la banda musicale e i privilegiati.
Intanto, la musica del paese esegue tonanti marce, intervallate dalla recitazione, anche cantata, del rosario di san Ciro.
Per tradizione dietro la banda (ma in alcuni anni anche in apertura di processione), sono sistemati, in ordine, tutti gli stendardi, le relative confraternite con i loro segni distintivi, sistemate per importanza.
Le confraternite
Per ogni confraternita, aprono tre persone: uno al centro porta lo stendardo, accompagnato da altri due con il cero acceso. Seguono quindi i membri della confraternita che indossano l’abitino e il medaglione, che però non è mai indossato dai novizi. I confrati sono disposti in due file.
La prima confraternita, la più importante, disposta dopo la banda, è quella del Ss. Sacramento, detta «di li viddani», poiché in passato era composta dal ceto dei contadini (La Spina 1987) un tempo anche i più numerosi in un paese che viveva di agricoltura. Indossano un abitino di tela bianco e un medaglione.
Seguono, poi: quella dell’Addolorata, detta «di li civili» (i civili): in abitino di velluto nero e medaglione; l’Immacolata «di li cummintara» (del quartiere e della chiesa del convento) in abitino di velluto azzurro e medaglione; Gesù Maria e Giuseppe «di li artigiani» (gli artigiani) in abitino di raso azzurro e medaglione; il Redentore «di sant’Anna» (del quartiere e della chiesa di Sant’Anna) con il solo medaglione; San Michele «sammichilara» (del quartiere e della chiesa di San Michele) in abitino di raso giallo e medaglione; Sant’Antonino «di sant’Antuninu» (del quartiere e della chiesa di sant’Antonino); (ibdem) la Misericordia, con un abitino azzurro, quest’ultima di recente costituzione.
Giuseppe Pitrè segnala la presenza di tre sole confraternite: «san Michele Arcangelo, Ss. Sacramento e Anime sante» (1978b: 133), che precedono la vara.
A concludere, oggi, come un secolo fa, ci sono i fedeli, molti dei quali a piedi scalzi, sistemati in linea ai margini della strada. Tutti portano in mano un cero votivo rivolto verso la parte interna del percorso.
Il popolo, in genere, si aggrega per gruppi familiari o per conoscenti e si va sistemando, in fila indiana, per ordine di arrivo.
I tamburi aprono la processione.
Confraternita di San Ciro:
1. Tre confratelli: uno, al centro, porta lo stendardo della confraternita raffigurante san Ciro; ai lati, altri due con un cero acceso.
2. Seguono i confratelli disposti su due file.
3. Tutti (tranne i novizi) indossano un abitino a doppio pettorale di velluto rosso con una palma ricamata, colore oro. Inoltre, portano attorno al collo un medaglione d'argento raffigurante san Ciro.
4. Segno distintivo del superiore è il colore oro del medaglione e la presenza di una piccola croce in ferro.
«Questa processione richiama numerosi fedeli, a tal punto che non tutti riescono a percorrere contemporaneamente il tragitto, che è di circa due chilometri». Così, quando i primi sono di ritorno in chiesa, altri stanno ancora per iniziare il tragitto. Questo avviene soprattutto nel mese di agosto, quando fanno ritorno in paese gli emigrati e le belle serate consentono anche ai più anziani di partecipare numerosi.
Concluso il percorso, la reliquia, prima di essere riportata dentro, sosta circa due ore nella piazza antistante la chiesa Madre, ad attendere il ritorno di tutti i fedeli.
In passato, per il rientro della processione, veniva allestita una piccola impalcatura sulla quale venivano accese le girandole dei fuochi artificiali (cfr. La Spina 1976: 71). Ora si fa ricorso allo spettacolo pirotecnico con le scatole cinesi.
A gennaio, in tarda serata, dopo la benedizione del parroco, si concludono i festeggiamenti. In agosto, invece, la processione si svolge la domenica, mentre il giorno conclusivo della festa è il lunedì.
L’ultimo rito da espletare rimane quello della sistemazione dell’urna all’interno della cappella del santo. Questo lavoro viene svolto, a festa conclusa, dai confrati, in presenza di qualche devoto che assiste da spettatore.
La questua
Già dall’indomani della festa, i confrati sono chiamati a svolgere l’ultimo lavoro, il più faticoso della festa: fare la questua in paese.
La questua viene effettuata nei tre giorni successivi alla festa. I confrati percorrono tutte le strade del paese e, bussando nelle abitazioni, pronunciano la frase: «Santu Ciru!».
Oggi i fedeli danno soltanto offerte in denaro. Mentre in passato i confrati giravano coi muli (Mariano 1961), e successivamente con un’automobile, per trasportare il frumento consegnato dalle famiglie.
In cambio delle offerte vengono distribuite immaginette sacre e stampe di diversi tipi e dimensioni: piccole, cartoline e grandi da incorniciare.